
L'emancipazione femminile era già una realtà nell'antica Roma. E non solo ed unicamente verso donne di alto ceto sociale, ma anche per le donne appartenenti a classi meno abbienti. Il fatto è dimostrato da diversi reperti e graffiti pompeiani; le donne di Pompei infatti frequentavano i teatri e assistevano ai giochi gladiatori.Ed è su questi ultimi che ci soffermiamo, si perché i gladiatori dell'epoca, almeno quelli che sopravvivevano, erano ambiti dalle donne esattamente quanto i calciatori o i divi dello spettacolo di oggi.Le prove ci sono, e sono tangibili: nella caserma dei gladiatori sono stati ritrovati graffiti quali: "il trace Celado fa sospirare le ragazze"; un'altra, dedicata a Crescente il reziario (specializzato nel combattere con la rete), attesta che egli fosse il "medico notturno delle ragazze". Insomma, i gladiatori erano le star dell'epoca.Ed i lottatori di Roma erano ambiti tanto da ragazze di modeste condizioni sociali, quanto da ragazze di elevata classe sociale; pare inoltre che più questi uscivano malconci dalle lotte, più erano amati.Questo almeno quanto attesta, o quanto vuol farci credere, Decimo Giunio Giovenale (in latino Decimus Iunius Iuvenalis: Aquino, tra il 55 e il 60 – Roma, 127); egli, nelle sua satire sulle donne, racconta di Eppia, una donna di elevato ceto sociale che abbandona casa e famiglia per amore del gladiatore Sergetto, il quale attendeva, con il braccio spezzato, il suo congedo.Stando a Giovenale, il gladiatore non era bello: "... e molti sfregi avea nel volto, e il ciuffo diradato dall'elmo, e in mezzo al naso un grossissimo porro; e un male acuto gli facea sempre gocciolare un occhio...".Eppure era un gladiatore, e tanto bastava ad Eppia, la quale aveva sfidato le onde pur di seguirlo in Egitto. Forse Sergetto non era poi così brutto come raffigurato dal nostro Giovenale.Nonostante la misoginia del poeta, il quale fa lauto uso di satira nei confronti del gentil sesso, il fatto che le signore benestanti fossero sensibili al fascino dei gladiatori è una verità ormai certa.A darne ulteriore conferma, i resti di una donna, con tanto di gioielli, all'interno di un dormitorio per gladiatori, sempre a Pompei. Visti i gioielli, la donna non doveva certo essere povera. Ma cosa ci faceva proprio in quel luogo? Forse andò a trovare il suo bel gladiatore, presumibilmente di nascosto, per essere poi sorpresa dal famoso cataclisma di Pompei. E' comunque incerto se questo avvenne al suo arrivo o nel momento in cui se ne stava andando. Romantico sarebbe pensare ch'ella fosse andata in cerca del suo eroe per morirvi fra le braccia.Ma se finora abbiamo parlato del debole che le donne mostravano nei confronti dei gladiatori; parliamo ora della vita che queste conducevano a Roma: mentre gli uomini romani s'impegnavano nell'educare il gentil sesso alla virtù, queste erano sempre più emancipate.Tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C. la città si popolò di donne i cui costumi avrebbero letteralmente inorridito i loro antenati; esse non si limitavano ad un uso discreto delle libertà, bensì ne abusavano oltre ogni decenza. Almeno era questo il pensiero degli uomini romani, i quali vedevano l'emancipazione femminile come un vero e proprio pericolo sociale.Al riguardo Cicerone, parafrasando Platone, disse che in luoghi in cui donne e schiavi non portavano obbedienza, vi era l'anarchia.Ma le accuse più gravi nei confronti delle donne le ritroviamo nei poeti come, appunto, Giovenale; basta infatti leggere i suoi versi per constatarne una misoginia quasi patologica.Ecco dunque un esempio: "La lussuria è vizio di tutte, schiave e padrone... da quella che va scalza per le strade della città, a quella che si fa portare in lettiga da schiavi siriani, le donne, tutte, senza scampo, sono dissolute."Ma cosa spaventava tanto gli uomini romani? Il fatto di essere comandati d
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