
In balia delle onde il calcio svizzero si scopre addirittura più fragile di quanto noi tutti temevamo potesse essere.
Un mondo del pallone, quello rossocrociato, gestito per certi versi anche in modo subdolo. Chi sta nella stanza dei bottoni ha decisamente capito che è meglio passare per “tonti” che per strenui e fieri portatori di interessi di parte.
Ci vien da dire, contenti loro, contenti tutti.
E invece no. Perché di mezzo ci vanno i club politicamente più deboli, ma anche migliaia di tifosi e non da ultimo un grosso numero di lavoratori che, in modo più o meno diretto, di calcio vivono.
Che il presidente della SFL Schifferle si presenti davanti ad un microfono dichiarando che questa situazione risulta a lui e ai suoi colleghi “del tutto inaspettata” suona come una presa per i fondelli.
Non bisognava di certo essere un virologo di fama internazionale per ipotizzare che un contagio nel calcio potesse avvenire.
Lo si sapeva ma non si è voluto prevenire, lo si sapeva ma ci si è appoggiati ad un protocollo che faceva acqua da tutte le parti: nessun tampone preventivo e la certezza che su un campo da calcio, vivendo lo spogliatoio e sobbarcandosi lunghe trasferte in bus nessuno fra giocatori e membri dello staff avrebbe avuto un contratto stretto con un compagno.
Favole, che non avrebbero incantato neppure un neonato.
Oggi cosa rimane da fare: sospendere tutto? No, adesso si vada avanti. Si abbia però il coraggio di tracciare la via. Per sé stessi, per il prossimo campionato ma anche per uno sport come l’hockey che solo trema al pensiero di dover ripartire a settembre.
Chi ne ha la forza (ma qualcuno davvero ce l’ha?) si presenti davanti ad ogni medico cantonale, gli faccia firmare un documento che eviti le quarantene di squadra. In isolamento il singolo infetto, tamponi per tutti gli altri e chi è negativo continua a giocare.
Oggi si vada avanti, anche perché nessuno ha stabilito cosa succederebbe in caso di interruzione definitiva del campionato. A chi assegnare il titolo? Chi retrocede? Chi viene promosso? Niente di niente è stato deciso. Che ci crediate o no, è così. L’ennesima dimostrazione che la speranza è sì l’ultima a morire ma che forse il nostro calcio è davvero prossimo ad esalare l’ultimo respiro...
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