Terremoto
Twitter bloccato: Erdogan stronca le proteste
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Keystone-ats
2 anni fa
Mentre il bilancio provvisorio del sisma che ha colpito Turchia e Siria va oltre le peggiori previsioni e oltrepassa la mostruosa cifra di oltre 11'700 morti e 53'000 feriti, tutto quello che ha da dire il presidente è che "inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà ancora più facile".

I gemiti sempre più flebili e sempre più rari che si levano ancora dalle macerie sono più potenti delle proteste sulle reti sociali per i ritardi nei soccorsi, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan fa mea culpa solo in parte e tra le rovine di Hatay punta il dito sui provocatori e silenzia Twitter. Mentre il bilancio provvisorio del sisma che ha colpito Turchia e Siria va oltre le peggiori previsioni e oltrepassa la mostruosa cifra di oltre 11'700 morti e 53'000 feriti, tutto quello che ha da dire il presidente è che "inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà ancora più facile".

Stop a Twitter

Un ottimismo ostentato che suona sinistro di fronte alle macerie delle aree devastate al confine con la Siria dove Erdogan è arrivato oggi a chiedere, nonostante tutto, "unità e solidarietà". "Abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse. Daremo il nostro sostegno alle famiglie", ha rassicurato l'uomo di Ankara, ma il messaggio è un altro e punta a difendere una sola linea, la sua. "Vi chiedo espressamente di non dare un'opportunità ai provocatori", ha scandito. Poco dopo è arrivata la notizia che Twitter, dove si erano moltiplicate proteste e critiche per i ritardi nei soccorsi, ha smesso di funzionare. Proprio sul "social", Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione (il Partito popolare repubblicano), si era scagliato contro Erdogan accusandolo di essere "responsabile" della "lenta reazione" nella gestione dei soccorsi e denunciando che il governo non ha mai spiegato dove siano finiti i 4,6 miliardi di dollari (oltre 4,2 miliardi di franchi al cambio attuale) raccolti con la cosiddetta tassa sui terremoti imposta dopo il violento sisma del 1999.

18 persone arrestate

Certo non nella prevenzione dei disastri e nello sviluppo dei servizi di emergenza, ha denunciato a sua volta il giornalista turco Can Dundar, in esilio in Germania, vaticinando la fine politica di Erdogan: "Salito al potere con un terremoto, se ne andrà con un terremoto" che "lo seppellirà tra le macerie". Intanto, a causa di post "provocatori" diciotto persone sono state fermate dalla polizia e cinque sono state arrestate, ha riferito la televisione di stato turca TRT. E probabilmente non basterà a placare la rabbia della gente il "sostegno" annunciato da Erdogan di circa 500 euro (la medesima somma in franchi) per ciascuna famiglia colpita.

Più di 6'000 edifici distrutti

Gli edifici distrutti sono 6'444, gli sfollati almeno 300'000. Non si contano le persone che passano la notte accanto a fuochi di fortuna all'aperto, solo una coperta addosso per ripararsi dal gelo, e difficilmente basteranno i resort di lusso di Antalya, Alanya, Mersin, dove il presidente ha promesso di ospitare gli sfollati. Ancora più drammatica la situazione in Siria. Ad Aleppo si rischia un'epidemia di colera, ha avvertito la Fondazione italiana Avsi, impegnata nella cooperazione allo sviluppo. E parte anche la polemica internazionale sull'impatto delle sanzioni imposte nel 2011 contro il regime di Bashar al-Assad che impedirebbero o rallenterebbero la consegna di aiuti. "Respingo categoricamente l'accusa che le sanzioni possano aver alcun impatto sugli aiuti", ha detto il commissario europeo per la gestione delle crisi Janez Lenarcic rispondendo indirettamente anche al nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari, secondo cui "questa prova così tragica sarà un test, una prova di umanità sia per la Siria sia per la comunità internazionale".

Nuova scossa a Dogansehir

E mentre la terra continua a tremare - una nuova scossa di magnitudo 5,3 si è registrata a Dogansehir - i tentativi disperati dei soccorritori turchi e delle squadre arrivate da decine di Paesi di salvare ancora qualcuno dalle macerie proseguono. Quasi un miracolo la piccola di 18 mesi estratta viva dopo 56 ore a Kahramanmaras, nel sud del Paese. E i due ragazzi salvati proprio ad Antiochia. O Khadir, il bambino di dodici anni tirato fuori dopo 62 ore da un palazzo crollato a Nurdaği, vicino a Gaziantep, e sopravvissuto perché protetto dal corpo della madre. O ancora la bimba di otto anni rimasta intrappolata per 40 ore a Salqin, nel nordovest della Siria, e portata in salvo, gli occhi sbarrati per lo shock ma in buone condizioni.

I siriani restano senza aiuti

Le autorità e le popolazioni del nordovest siriano, fuori dal controllo del governo centrale e devastato dal terremoto, chiedono a gran voce di ricevere, dal lato turco, aiuti internazionali per far fronte all'emergenza umanitaria. Ma finora nessun convoglio è entrato in Siria dalla Turchia nonostante tre valichi frontalieri siano stati dichiarati aperti e nonostante le dichiarazioni delle cancellerie occidentali di aver finanziato l'acquisto e l'invio di aiuti. La situazione rimane estremamente difficile anche nelle aree siriane disastrate ma controllate dal governo. Nonostante l'arrivo, all'aeroporto di Damasco, di aiuti da parte di numerosi paesi, la macchina dei soccorsi interna procede con mille ostacoli dovuti alla carenza di mezzi di uno Stato travolto da dodici anni di conflitto armato, afflitto da sanzioni occidentali e da una crisi economica senza precedenti nella sua storia. In una lettera indirizzata alle Nazioni Unite, il governo siriano incarnato dal presidente Bashar al Assad, sostenuto da Russia e Iran, ha chiesto aiuti a tutti i paesi membri dell'Onu, allegando al documento una lista, lunga diverse pagine, di strumenti, macchinari e materiali di vario tipo necessari per sostenere i soccorsi e l'emergenza sanitaria.

Gestione delle crisi

Proprio ieri l'ambasciatore siriano alla sede dell'Onu di Ginevra aveva chiesto a Stati Uniti e Unione europea di levare le sanzioni imposte da almeno un decennio alla Siria. Su questo ha risposto il commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarcic: "Respingo categoricamente l'accusa che le sanzioni possano aver alcun impatto sugli aiuti. L'Ue finanzia e sostiene da oltre dieci anni in Siria organizzazioni umanitarie che collaborano con noi", ha aggiunto, assicurando che l'Unione sta "lavorando per aumentare il sostegno finanziario alle aree colpite". In tal senso, Damasco ha chiesto l'attivazione del meccanismo di protezione civile dell'Ue, condizione necessaria per far attivare le protezioni civili dei paesi membri. Diverso lo scenario nelle regioni nordoccidentali, dove non esiste uno Stato internazionalmente riconosciuto che può fare tale richiesta all'Ue. A nord di Aleppo e Idlib la protezione civile locale, un'organizzazione non governativa finanziata da anni da paesi occidentali, continua il lavoro di soccorso e di ricerca di eventuali superstiti soltanto con i propri carenti mezzi e con l'aiuto di un esercito di volontari, in attesa dei tanto richiesti sostegni dall'estero. "Non è arrivato nulla finora", afferma all'agenzia di stampa italiana Ansa Mazen Allush, portavoce della direzione del valico frontaliero di Bab al Hawa, l'unico passaggio di confine dove i convogli umanitari dell'Onu possono passare, in base a un meccanismo rinnovato, con l'accordo della Russia, lo scorso gennaio fino al prossimo luglio. "Dal lato turco il valico rimane chiuso. Finora hanno lasciato passare soltanto 120 salme di siriani morti in Turchia", ha detto Allush.

La Turchia non lascia passare i siriani

E di fronte a rappresentanti dell'Ufficio dell'Onu per il coordinamento umanitario (Ocha) che affermano che i ritardi sono dovuti a ragioni logistiche, Allush risponde: "Non è vero. Le strade sono sgombre sia sul lato siriano che su quello turco. Ma la Turchia non lascia passare altro che i morti siriani. Non hanno nemmeno consentito l'ingresso dalla Siria dei feriti gravi (...). Sappiamo che a Reyhanli (la prima località turca oltre frontiera) gli aiuti arrivano copiosi", ha detto il rappresentante siriano alla frontiera, dove in serata si sono radunate decine di manifestanti per chiedere a gran voce l'invio di aiuti.

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