
Nei due anni di massicci bombardamenti israeliani, 70.000 tonnellate di esplosivi sono state sganciate su Gaza. Secondo l'agenzia Onu per l'Azione contro le Mine (Unmas) il 5-10 percento di queste munizioni, lanciate da Israele o abbandonate da Hamas, non sono ancora esplose: tra 3'500 e 7'000 tonnellate di ordigni rimangono sparse tra case, ospedali e scuole. Per i palestinesi sfollati all'interno dell'enclave che stanno tornando a casa con il cessate il fuoco, ciò significa imparare a vivere tra i resti della guerra che minacciano di esplodere da un momento all'altro. Per il rappresentante dell'Unmas, Julius Van Der Walt, i rischi associati agli ordigni inesplosi sono "immensi", non solo per i due milioni di abitanti dell'enclave, ma anche per le operazioni umanitarie e gli sforzi di recupero.
Una delle peggiori minacce
"Gli ordigni non esplosi sono una delle minacce più indiscriminate in qualsiasi conflitto, poiché non distinguono tra un operatore umanitario, un civile o un soldato - ha detto Van Der Walt - la loro presenza mette tutti a rischio allo stesso modo". Oggi, secondo l'Unmas, più di 60 milioni di tonnellate di macerie coprono Gaza e, nascosti in queste rovine, le migliaia di ordigni inesplosi rappresentano un pericolo costante, soprattutto per i bambini. Secondo l'Onu, quasi tutti gli edifici residenziali sono stati danneggiati o distrutti dagli attacchi israeliani. In queste condizioni, quasi l'80% della popolazione ora vive in tende improvvisate o in mezzo alle macerie e la carenza di rifugi sicuri sta spingendo molte famiglie a stabilirsi vicino ad aree sospettate di contenere esplosivi. In totale, più di 400 persone sono state coinvolte in incidenti causati da ordigni inesplosi, secondo l'Unmas.

