
Un incontro a quattr’occhi tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. È questo il risultato principale emerso dal vertice di Washington. Ieri alla Casa Bianca, ricordiamo, il presidente ucraino Zelensky ha tenuto un colloquio bilaterale con il suo omologo statunitense Donald Trump. I due, poi, ne hanno avuto uno multilaterale con la lunga schiera di leader europei che si sono recati nella capitale statunitense. Incontri che avrebbero, appunto, ottenuto la disponibilità di Putin a vedere Zelensky entro agosto in una località ancora da definire, con il presidente francese Emmanuel Macron che ha proposto Ginevra. L’evento sarà poi seguito da un trilaterale con Trump.
Tuor: "Una pace è molto difficile"
Ma questi sviluppi rappresentano un primo passo verso la pace? Ticinonews lo ha chiesto al giornalista Alfonso Tuor. “Secondo me questa pace è molto difficile, perché ci sono degli elementi, come lo scambio dei territori e la demilitarizzazione dell’Ucraina, che sono difficili da accettare per gli ucraini”, spiega Tuor. Dall’altra parte “è impossibile che la Russia accetti semplicemente una chiusura della guerra sulle posizioni attuali". La Russia "ha vinto e solitamente chi trionfa in guerra è colui che ‘vince’ anche il negoziato”. Tuttavia, “la situazione è talmente complicata che non darei per certo che questo serio tentativo di trovare una soluzione sia coronato dal successo”.
Il capitolo sicurezza
Le questioni territoriali non sembrano essere state al centro del summit di ieri, che è stato invece incentrato sulle garanzie di sicurezza. Ma cosa possono offrire in tal senso i Paesi europei, coordinandosi con gli Stati Uniti? “Fino a poco tempo fa la Russia aveva detto che non avrebbe accettato soldati europei sul territorio ucraino”, ricorda Tuor. Adesso “sembra che Putin abbia accettato questa ipotesi. Ma oltre a ciò, l’Europa non ha molto da concedere, anzi: sottolinea che non manderà soldati in ucraina se non ci sarà una copertura aerea e informatica da parte degli americani. Dobbiamo renderci conto che gli europei hanno giocato alla guerra e non accettano la sconfitta”, conclude Tuor.