“È importante mettere nero su bianco quanto sta accadendo, ma difficilmente questo cambierà le cose”. Così l’esperto dell’ISPI sulla dichiarazione dello stato di carestia a Gaza da parte dell’ONU. La situazione umanitaria è sempre più drammatica, ma una soluzione al conflitto in tempi brevi sembra pura utopia. A Ticinonews ne abbiamo parlato con Luigi Toninelli, ricercatore ISPI.
Somalia, 2011. Sudan del Sud, 2017 e 2020. Darfur, 2024. Gaza, 2025. Solo in cinque casi l’IPC
– ovvero la piattaforma Classificazione Integrata delle Fasi della Sicurezza
Alimentare che riunisce 21 organizzazioni e istituzioni intergovernative – ha
dichiarato lo stato di carestia. Lista di cui, da ieri, fa parte anche Gaza.
Una notizia di cui tutto il mondo parla. Su cui i riflettori sono e devono
restare puntati. È la prima volta nella storia che l’organizzazione conferma
una carestia in Medio Oriente: lo ha fatto ora perché – scrive nel suo rapporto
- nelle ultime settimane c’è stato il peggiore deterioramento delle condizioni
da quando ha iniziato ad analizzare la scarsità di cibo e la malnutrizione a
Gaza. Una situazione drammatica che riguarda oltre
mezzo milione di persone, che mette a rischio la vita di 132'000 bambini
sotto i cinque anni e che si teme possa allargarsi, nel giro delle prossime
settimane, a un terzo della popolazione della Striscia, che è di circa 2
milioni di persone.
"Siccome questa carestia dipende interamente dall’uomo può essere fermata e invertita”, scrive il rapporto, riferendosi ai molti modi in cui da mesi Israele ostacola l’ingresso di cibo e beni essenziali nella Striscia. L’accusa è di aver smantellato il sistema di aiuti come obiettivo militare. Accusa che il premier Benjamin Netanyahu respinge come menzogne. A fargli eco, il generale druso a capo delle Attività governative nei territori, che ha respinto le conclusioni del rapporto, basato, a suo dire, “su fonti parziali e inaffidabili, molte delle quali affiliate ad Hamas”. Un rapporto che – ha detto – “ignora palesemente i fatti e gli ampi sforzi umanitari guidati da Israele e dai suoi partner internazionali”. Tra le moltissime reazioni a ciò che sta avvenendo nella
Striscia, quella del segretario generale dell’ONU António Guterres: “Si tratta
di un disastro creato dall’uomo e di un fallimento dell’umanità - ha scritto su
X “, tornando a invocare un cessate il fuoco immediato, il rilascio di
tutti gli ostaggi e un accesso umanitario completo e senza restrizioni.
Questo, dunque, quanto accaduto nelle ultime ore. Come
leggere la dichiarazione dell'ONU? Che valore darle, nel concreto? E come mai
proprio ora? Interrogativi che abbiamo rivolto a Luigi Toninelli, ricercatore
presso l'Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa di ISPI. “Che vi fossero avvisaglie di carestia nella Striscia di Gaza lo sappiamo da
tempo. Già altre agenzie delle Nazioni Unite avevano segnalato questo rischio.
Perché adesso se ne parla con più forza? Perché è stato pubblicato uno studio
che, con dati numerici, dimostra che ci sono tutti i criteri per definire
ufficialmente la situazione come ‘carestia’. Questo riguarda soprattutto il
governatorato di Gaza City, dove Israele si prepara a entrare, ma l’insicurezza
alimentare potrebbe estendersi anche a Khan Younis ed El-Bureij nelle prossime
settimane. I dati principali sono tre: il 20% delle famiglie vive in completa
assenza di cibo, il 30% soffre di malnutrizione acuta e ogni giorno due persone
su 10.000 muoiono di fame. Sono numeri statistici che, secondo la
classificazione internazionale, sanciscono come nel governatorato di Gaza si
sia ormai in una situazione di carestia”
Perché è importante dichiarare ufficialmente lo stato di
carestia? È una dichiarazione che potrà concretamente cambiare la situazione?
“È importante soprattutto per mettere nero su bianco ciò che
sta accadendo, per evidenziare quello che Israele sta facendo – o non facendo –
all’interno della Striscia di Gaza. Ma difficilmente avrà un impatto concreto.
Le dichiarazioni delle Nazioni Unite vengono spesso screditate da Israele e da
altri attori internazionali, non vengono prese in considerazione o vengono
messe da parte. Dall’altro lato, il vero attore che potrebbe intervenire sono
gli Stati Uniti. Eppure, negli ultimi mesi e anni abbiamo visto come Washington
si sia progressivamente allineata alle posizioni israeliane. Dunque, la
dichiarazione serve per certificare la gravità della situazione, ma dal punto
di vista pratico cambierà ben poco”
La situazione è quindi drammatica sul piano umanitario, ma non solo. Un
conflitto che però sembra non avere una fine. C’è una soluzione ipotizzabile a
breve o medio termine?
“Al momento no, non sembra esserci alcuna prospettiva di
fine. Le parti non riescono a trovare un accordo né per la liberazione degli
ostaggi né per la cessazione delle operazioni militari nella Striscia. Anzi,
negli ultimi giorni Israele ha ribadito la volontà di ottenere la liberazione
completa di tutti gli ostaggi e, in ogni caso, di mantenere il controllo della
Striscia per distruggere Hamas, indipendentemente dall’esito dei negoziati. Ci
sono proteste e il governo israeliano appare sempre più isolato, ma senza un
blocco da parte statunitense o un cambio ai vertici in Israele, non sembra
esserci la possibilità di una conclusione del conflitto. E così, purtroppo, la
situazione umanitaria è destinata a peggiorare”.