L'intervista
L'Oasi di Pace in Israele: "Siamo stati attaccati fisicamente più volte"
2 anni fa
Nir Sharon e Samah Salaime spiegano ai microfoni di Ticinonews il villaggio in Israele di cui sono codirettori. Il progetto ospita 3'000 persone e sfida il conflitto in Medio Oriente.

La Fondazione Federica Spitzer ha promosso a Lugano un incontro con un israeliano e una palestinese. I due sono co direttori del villaggio Wahat al-Salam/Neve Shalom, Oasi di Pace in italiano, ossia un progetto che ospita 3'000 persone per metà palestinesi e per metà ebrei. Il villaggio, fondato nel 1970, è un modello di uguaglianza, d'integrazione e rispetto reciproco e sfida il conflitto permanente in Medio Oriente. 

Cos'è il progetto Wahat al-Salam/Neve Shalom

Nir Sharon: "È un progetto di costruzione di pace. È un progetto educativo che mostra che una società comunitaria nella regione del Medio Oriente è possibile. In questo momento 3'000 persone con 100 famiglie, ma speriamo che il numero possa aumentare".

Quali attività promuovete nel villaggio?

Samah Salaime: "È un villaggio che ospita 50% famiglie palestinesi e 50% famiglie ebree israeliane. Le persone all’interno del villaggio hanno deciso di vivere insieme, già da 45 anni, per stabilire una comunità che crede nella pace. Le prime 4 famiglie che hanno fondato il villaggio hanno dato l’esempio per condividere la vita, la pace e educare le prossime generazioni. Abbiamo 3 progetti educativi: il più grande è la scuola elementare ed è la prima scuola bilingue e binazionale della nostra regione. Ciò significa che i bambini arabi crescono assieme ai bambini ebrei: è un modello veramente unico perché in Israele le scuole sono ancora segregate. Io, per esempio, ho frequentato la scuola elementare per arabi accanto a quella per ebrei. Nella nostra scuola insegniamo arabo, ebraico e inglese. L’altro grande progetto è la scuola per la pace. Lavorare con i bambini è molto più facile che con gli adulti. Mettiamo insieme genitori, studenti e lavoratori di diverse professioni nelle stesse condizioni, con le stesse regole, per dialogare. È un intervento a lungo termine che supera il concetto di workshop faccia a faccia. Cerchiamo di far discutere palestinesi ed ebrei per trovare delle soluzioni e dei compromessi per il conflitto israelo-palestinese. La terza incredibile struttura invece è il Centro Spirituale Pluralistico di comunità. Fornisce attività e strumenti legati all’arte, alla documentaristica, alla cultura e soprattutto alla pluralità religiosa. Non abbiamo bisogno di una sinagoga, di una moschea o di una chiesa: crediamo nel culto privato e ci arricchiamo da ogni religione".

Quali sono i valori principali?

 Nir Sharon: "Il primo valore è la costruzione di una situazione di pace. Sottolineiamo anche l’uguaglianza, la giustizia e la dignità. Il rispetto verso il prossimo è il nostro principio. Il valore è una parola importante, ma pensiamo di basare tutto sull’umanità. Non inventiamo nulla di nuovo, agiamo da essere umano".

 Samah Salaime: "Parliamo di uguaglianza, perché lo stato israeliano ha creato delle classi di cittadini. Io, da palestinese, sono una cittadina di serie b. Gli ebrei hanno più diritti e più privilegi, come per esempio entrare in più luoghi rispetto a me, eppure paghiamo le stesse tasse. Per noi non deve esistere una supremazia da parte di una nazione. Noi mettiamo la persona prima della nazionalità e della religione e vogliamo combattere attraverso la democrazia".

 

Ci sono pressioni da parte del governo israeliano?

 Samah Salaime: "Le pressioni arrivano dalla destra israeliana. Siamo stati attaccati fisicamente più volte. Tre anni fa è stata attaccata anche la Scuola per la Pace e la Libreria della Pace. Sappiamo di non essere popolari cambiando il pensiero unico e la narrativa israeliana. Negli ultimi 20 anni stiamo combattendo contro il governo. Ci tuteliamo tra di noi, perché sappiamo di non avere alcun tipo di supporto. Sappiamo però che nel mondo e in Palestina c’è gente che ci sostiene. Quando il mondo è pronto ad imparare cosa stiamo facendo, noi abbiamo qualcosa da offrire. Quando la guerra è iniziata sono arrivati molti giornalisti da tutte le parti del mondo. Nessun media israeliano invece si è fatto vivo: non vogliono ascoltare una voce diversa. La cosa particolare è che quando è iniziata la catastrofe, il governo israeliano voleva mostrare al mondo che c’è un progetto che crede nella pace all’interno del loro paese, ma noi sappiamo che non ci supportano; quindi, abbiamo rifiutato di essere utilizzati come villaggio-immagine".

 

Cosa ne pensate delle occupazioni universitarie in Svizzera?

 Nir Sharon: "Penso che le proteste e le manifestazioni sono l’emblema della democrazia. Anche se c’è qualcosa difficile da sentire, grazie alla democrazia, tutti possono ascoltare. Per esempio, io partecipavo alle manifestazioni per la democrazia in Israele prima della guerra e ovviamente c’è una grande varietà d’opinione all’interno di ogni manifestazione. Noi, nel nostro villaggio, accettiamo ogni forma di pensiero: è il modo giusto di agire, anche se non si è d’accordo con ogni opinione. Se un’opinione diversa dalla mia può accrescere il mio essere, sono contento di ascoltarla".

Samah Salaime: "Ascoltare le proteste dei giovani studenti è una delle forme di democrazia. Non possiamo zittire tutti: lo so che sono voci problematiche, ma la maggior parte delle persone che manifesta il loro dissenso vuole che la guerra termini e io condivido appieno questo messaggio". 

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