Live Crisi in Medio Oriente
Ripresi a Doha i colloqui per una tregua a Gaza
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2 giorni fa
Tutti gli aggiornamenti sulla situazione in Medio Oriente nel nostro live.
17 ore fa
Il nuovo incontro tra Netanyahu e Trump è durato 90 minuti
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Fra le differenze che restano da risolvere per un accordo su Gaza c'è quella del ritiro dell'esercito (IDF) dalla Striscia.

Il presidente americano Donald Trump ha incontrato il premier israeliano Benyamin Netanyhau alla Casa Bianca per 90 minuti. Fra le differenze che restano da risolvere per un accordo su Gaza c'è quella del ritiro dell'esercito (IDF) dalla Striscia. Sia nell'incontro di lunedì che in quello di ieri alla Casa Bianca si è discusso infatti sul riposizionamento delle truppe israeliane. Hamas - riporta Axios citando alcune fonti - chiede che l'IDF si ritiri sulle stesse linee stabilite prima che il precedente cessate il fuoco fallisse in marzo. Israele rifiuta di farlo. Il nodo degli aiuti umanitari sarebbe invece stato risolto, così come quello relativo alla richiesta di Hamas, che vuole garanzie degli Stati Uniti sul fatto che Israele non sia in grado di iniziare unilateralmente la guerra alla fine dei 60 giorni di cessate il fuoco.

Aiuti

Sugli aiuti si è concordato che nelle zone di Gaza da cui si ritirerà l'IDF essi saranno forniti dall'ONU o da organizzazioni internazionali non affiliate a Israele o Hamas. Sulle garanzie americane, l'inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente Steve Witkoff ha inviato un messaggio a Hamas sostenendo che Trump è impegnato a estendere il cessate il fuoco se le trattative per mettere fine alla guerra durano più di 60 giorni. Stando al "Times of Israel", che cita una fonte vicina ai negoziati, a causa dei disaccordi sui parametri del ritiro dell'IDF da Gaza durante la tregua di 60 giorni in fase di negoziazione a Doha, Israele dovrebbe presentare oggi una nuova serie di mappe che mostrano la sua proposta di ridispiegamento delle truppe, dopo che la versione precedente è stata respinta da Hamas. Secondo la fonte un compromesso sulla questione richiederà più tempo. Nel frattempo una delegazione di alti funzionari del Qatar ha incontrato ieri Witkoff per tre ore alla Casa Bianca per discutere dei negoziati in corso per un cessate il fuoco a Gaza e un accordo per il rilascio degli ostaggi, scrive il "Times of Israel" citando una fonte a conoscenza della questione.

2 giorni fa
Ripresi a Doha i colloqui per una tregua a Gaza
Al momento non vi sarebbe ancora alcuna svolta. Le discussioni si concentrano ancora sui meccanismi di attuazione di un accordo di cessate il fuoco.

I negoziati indiretti tra Israele e Hamas per un accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza sono ripresi questa mattina a Doha, in Qatar, secondo una fonte palestinese vicina ai colloqui, secondo cui per ora non vi è stata ancora "alcuna svolta". "Finora non è stata raggiunta alcuna svolta e i negoziati proseguono", ha detto la fonte all'AFP nel terzo giorno di colloqui sotto l'egida di mediatori stranieri, a più di 21 mesi dall'inizio della guerra a Gaza.

Le discussioni

"Le discussioni si concentrano ancora sui meccanismi di attuazione (di un accordo di cessate il fuoco, ndr), in particolare sulle clausole relative al ritiro (dell'esercito israeliano, ndr) e agli aiuti umanitari per il territorio palestinese", ha aggiunto la fonte.

2 giorni fa
Rafah sarà "una città umanitaria con 600'000 palestinesi"
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Lo riporta il "Times of Israel".

Il ministro della difesa israeliano Israel Katz ha dato istruzioni all'esercito e al suo ministero di presentare un piano per la creazione di una nuova "città umanitaria" nella Striscia di Gaza meridionale, sulle rovine di Rafah. Lo riporta il "Times of Israel". L'idea, ha annunciato Katz, è quella di ospitare inizialmente circa 600'000 palestinesi che vivono nella zona di Mawasi, sulla costa, da quando sono stati sfollati da altre zone della Striscia. Ai palestinesi non sarà permesso di lasciare la zona, ha detto il ministro, e tutti verranno sottoposti a screening per assicurarsi che non vi siano agenti di Hamas tra loro.

2 giorni fa
Trump: "Hamas vuole la tregua a Gaza"
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Secondo il presidente statunitense, le parti vogliono incontrarsi e vogliono raggiungere un cessate il fuoco. Netanyahu: "Credo che i palestinesi debbano avere tutti i poteri per autogovernarsi, ma nessuno di questi poteri dovrebbe minacciarci".

Hamas "vuole un cessate il fuoco a Gaza". Lo ha detto il presidente americano Donald Trump a margine della cena alla Casa Bianca con il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Al centro delle discussioni la tregua a Gaza, l'Iran e l'estensione degli accordi di Abramo. "Vogliono incontrarsi e vogliono raggiungere un cessate il fuoco", ha dichiarato il tycoon ai giornalisti alla Casa Bianca quando gli è stato chiesto se gli scontri con i soldati israeliani avrebbero fatto fallire i colloqui.

Netanyahu: "Il potere decisionale rimarrà nelle nostre mani"

Da parte sua Netanyahu ha affermato: "Credo che i palestinesi debbano avere tutti i poteri per autogovernarsi, ma nessuno di questi poteri dovrebbe minacciarci. Ciò significa che il potere decisionale, come la sicurezza generale, rimarrà sempre nelle nostre mani. Ora, questo è un dato di fatto, e nessuno in Israele accetterà qualcosa di diverso, perché non possiamo ignorare certi fatti". "Vogliamo la vita, la teniamo cara, la vita per noi stessi o per i nostri vicini. E penso che possiamo trovare una soluzione tra noi e l'intero Medio Oriente con la leadership del presidente Trump, e lavorando insieme, penso che possiamo stabilire una pace molto, molto ampia che includerà tutti i nostri vicini", ha aggiunto.

La situazione per gli sfollati

Interrogato sul suo precedente piano di ricollocazione dei palestinesi, Trump ha girato la domanda al premier israeliano. Netanyahu ha affermato che il presidente sostiene la "libera scelta" e che Israele sta collaborando con gli Stati Uniti per trovare altri paesi in cui i palestinesi sfollati possano vivere. "Ci sono persone - ha spiegato - che vogliono rimanere o possono rimanere, ma se vogliono andarsene, dovrebbero poterlo fare. Non dovrebbe essere una prigione. Dovrebbe essere un luogo aperto, e si dovrebbe dare alle persone la libertà di scelta." "Stiamo lavorando a stretto contatto con gli Usa per trovare paesi che cercheranno di realizzare ciò che dicono sempre se vogliono dare ai palestinesi un futuro migliore e penso che ci stiamo avvicinando a trovare diversi Stati. Abbiamo avuto una grande collaborazione da parte di molti paesi limitrofi, una grande collaborazione da ognuno di loro. Quindi qualcosa di buono accadrà", ha aggiunto il premier. Questi ha anche annunciato di aver candidato Trump al Nobel per la pace. Durante l'incontro Netanyahu ha consegnato al presidente americano una lettera da lui inviata al comitato per il premio. "Sta forgiando la pace mentre parliamo, in un paese, in una regione dopo l'altra", ha detto il premier israeliano.

I prossimi incontri in programma

Prima di recarsi alla Casa Bianca Netanyahu ha incontrato l'inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff e poi il segretario di Stato americano Marco Rubio. "Abbiamo avuto una conversazione seria e importante sul rafforzamento dell'alleanza tra Israele e gli Stati Uniti e sulle sfide comuni che affrontiamo a livello regionale e internazionale", ha scritto su X il premier israeliano. Oggi alle 11.45 ora locale (le 17.45 in Svizzera), Netanyahu incontrerà invece lo speaker della Camera americana, il repubblicano Mike Johnson.

2 giorni fa
Ripresi in Qatar i colloqui indiretti tra Israele e Hamas
L'obiettivo di quest'ultimo ciclo di negoziati di mediare un cessate il fuoco e raggiungere un accordo sul rilascio degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi.

Hamas e Israele hanno ripreso i colloqui in Qatar. Lo ha dichiarato un funzionario palestinese rimasto anonimo, come scrive il Times of Israel. Ieri a Doha è iniziato l'ultimo ciclo di negoziati sulla guerra a Gaza, con l'obiettivo di mediare un cessate il fuoco e raggiungere un accordo sul rilascio degli ostaggi e dei prigionieri palestinesi.

3 giorni fa
Funzionario Hamas: "Abbiamo perso l'80% del controllo di Gaza"
A raccontarlo un alto ufficiale delle forze di sicurezza di Hamas alla Bbc.

Un alto ufficiale delle forze di sicurezza di Hamas ha dichiarato alla Bbc che il gruppo armato palestinese ha perso circa l'80% del controllo sulla Striscia di Gaza e che i clan armati stanno colmando il vuoto. Nei messaggi, scambiati con il giornalista Bbc, l'ufficiale ha dipinto un quadro della disintegrazione interna di Hamas e del collasso quasi totale della sicurezza a Gaza, che il gruppo governava prima del conflitto. "Siamo realistici: non è rimasto quasi nulla della struttura di sicurezza. La maggior parte dei leader, circa il 95%, è ormai morta... Le figure attive sono state tutte uccise", ha detto. "Quindi, cosa impedisce a Israele di continuare questa guerra?", ha aggiunto.

Il tentativo di riorganizzarsi durante la tregua

Secondo l'ufficiale, Hamas ha tentato di riorganizzarsi durante il cessate il fuoco di 57 giorni con Israele all'inizio di quest'anno, riorganizzando i suoi consigli politici, militari e di sicurezza. Ma da quando Israele ha posto fine alla tregua a marzo, ha preso di mira le restanti strutture di comando di Hamas, lasciando il gruppo nel caos. "Per quanto riguarda la sicurezza, voglio essere chiaro: è completamente crollata. Completamente distrutta. Non c'è più alcun controllo da nessuna parte", ha detto.

3 giorni fa
14 morti per i raid israeliani a Gaza all'alba
Lo riferiscono fonti mediche negli ospedali di Gaza.

Fonti mediche negli ospedali della Striscia di Gaza hanno riferito che 14 palestinesi sono stati uccisi in seguito ai bombardamenti israeliani su varie zone della Striscia di Gaza a partire dall'alba di oggi. Lo riporta Wafa.

3 giorni fa
Israele, attacchi nello Yemen dopo lancio missili Houthi
Le forze di difesa israeliane hanno attacco porti e una centrale elettrica dopo che tre missili balistici Houthi sono stati lanciati contro Israele.

Israele ha condotto i suoi primi attacchi contro obiettivi Houthi nello Yemen dopo il cessate il fuoco tra Israele e Iran, attaccando porti e una centrale elettrica tra la mezzanotte (ora locale) di domenica e la mattina di lunedì. Secondo le Forze di difesa israeliane gli attacchi sono avvenuti dopo che almeno tre missili balistici Houthi sono stati lanciati contro Israele dal cessate il fuoco, tra cui un missile intercettato sabato. Lo riporta la Cnn.

Gli attacchi

Oltre ai porti di Hodeida, Ras Isa, Salif e la centrale elettrica di Ras Kanatib, lungo il Mar Rosso, l'Idf ha colpito la Galaxy Leader, una nave cargo sequestrata dagli Houthi nel novembre 2023. "Le forze Houthi hanno installato un sistema radar sulla nave e lo stanno utilizzando per tracciare le imbarcazioni nell'area marittima internazionale per facilitare ulteriori attività terroristiche", ha affermato l'Idf. Poco prima dei raid il portavoce per la lingua araba delle Idf, Avichay Adraee, aveva diramato un avviso di evacuazione per i porti e la centrale elettrica.

Altri attacchi se continueranno i lanci di missili

Il ministro della Difesa Israel Katz ha affermato che gli attacchi fanno parte della nuova Operazione "Bandiera Nera". In una dichiarazione sui social media ha affermato: "Gli Houthi continueranno a pagare un prezzo elevato per le loro azioni" e ha promesso che ci saranno altri attacchi se gli Houthi continueranno a lanciare droni e missili balistici contro Israele.

La risposta degli Houthi

L'esercito Houthi ha confermato i raid ma ha affermato che "le difese aeree yemenite hanno affrontato efficacemente l'aggressione israeliana" utilizzando "un massiccio bombardamento di missili terra-aria di fabbricazione locale", in una breve dichiarazione rilasciata nelle prime ore di oggi. Non si hanno notizie di vittime. Secondo l'emittente televisiva Al-Masirah, gestita dagli Houthi, per Mohammed Al Farah, membro dell'ufficio politico degli Houthi, prendere di mira porti, centrali elettriche e altre "strutture civili" dello Yemen è un tentativo di danneggiare i civili e non ha alcun collegamento con l'attività militare.

3 giorni fa
Netanyahu è atterrato a Washington
In giornata incontrerà il Segretario di Stato americano Marco Rubio e l'inviato speciale Steve Witkoff. Stasera la riunione con Donald Trump.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu è atterrato alla base congiunta Andrews, fuori Washington DC, prima del suo incontro con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto per stasera. Lo riporta il Times of Israel. Ad accoglierlo, tra gli altri, l'ambasciatore Yechiel Leiter, il console generale a New York Ofir Akunis e il vice ambasciatore Eliav Benjamin. In giornata incontrerà il Segretario di Stato americano Marco Rubio e l'inviato speciale Steve Witkoff.

3 giorni fa
Niente accordo dopo il primo round dei colloqui indiretti Israele-Hamas
Stando ad alcune fonti, la delegazione israeliana non disponeva di un mandato sufficientemente ampio per raggiungere un accordo con Hamas.

Si conclude senza un accordo il primo round di colloqui indiretti tra Israele e Hamas sul cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi. Lo riportano alcuni media. I colloqui si sono tenuti nella capitale del Qatar, Doha, mediati da Egitto e Qatar.

Netanyahu: "Inaccettabili le modifiche chieste"

La delegazione israeliana, secondo alcune fonti citate dai media, non disponeva di un mandato sufficientemente ampio per raggiungere un accordo con Hamas. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva definito ieri "inaccettabili" le modifiche chieste dall'organizzazione alla proposta di accordo per il cessate il fuoco sostenuta dagli Stati Uniti e dallo stesso Stato ebraico.

3 giorni fa
Herzog a Netanyahu: "L'accordo va firmato anche se ha un costo"
È quanto emerge da un comunicato dell'ufficio del presidente israeliano.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog prima del suo volo per Washington, dove lunedì il premier incontrerà il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Secondo un comunicato dell'ufficio di Herzog, il presidente sottolinea l'urgenza di raggiungere una svolta nei colloqui per un accordo sulla liberazione degli ostaggi e un cessate il fuoco. "Sostengo pienamente questi sforzi, anche quando comportano decisioni difficili, complesse e dolorose... Il costo non è semplice, ma sono fiducioso che il governo e le forze di sicurezza saranno all'altezza della sfida", ha detto Herzog.

4 giorni fa
Riapre l'ambasciata svizzera in Iran
Ambasciata svizzera a Teheran © DFAE
Ambasciata svizzera a Teheran © DFAE
Lo rende noto il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae), precisando che per quanto riguarda il conflitto la Svizzera "mette a disposizione Ginevra come sede negoziale" e "riprende il suo ruolo di potenza protettrice degli interessi statunitensi in Iran".

Da oggi, domenica 6 luglio 2025, l’Ambasciata svizzera a Teheran è di nuovo aperta, dopo essere stata chiusa temporaneamente il 20 giugno a causa della situazione instabile in Iran. Lo comunica il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae), spiegando che "l’ambasciatrice Nadine Olivieri Lozano e un piccolo team sono tornati ieri a Teheran via terra passando per l’Azerbaigian. L’Ambasciata riprenderà le sue attività gradualmente".

Nessun servizio consolare per ora

La decisione di riaprire l’Ambasciata "è stata presa dopo un’analisi completa dei rischi e d’intesa con l’Iran e gli Stati Uniti, di cui la Svizzera rappresenta gli interessi nel Paese mediorientale come potenza protettrice". La situazione attuale, viene precisato, "consente una ripresa graduale delle attività dell’Ambasciata in loco. Per il momento non è però ancora possibile fornire servizi consolari, compreso il rilascio di visti. Tutte le rappresentanze svizzere all’estero possiedono dispositivi di sicurezza e di crisi, che vengono costantemente rivisti e adeguati".

Ginevra come sede negoziale

La Svizzera, conclude la nota del Dfae, "segue da vicino gli sviluppi nella regione e mantiene stretti contatti con i suoi partner. È fondamentale che tutte le parti riprendano immediatamente la strada della diplomazia. A tal fine la Svizzera offre i suoi buoni uffici e mette a disposizione Ginevra come sede negoziale. Tornando a Teheran, la Svizzera svolge di nuovo il suo ruolo di potenza protettrice degli interessi statunitensi in Iran direttamente in loco".

4 giorni fa
"Creare uno Stato palestinese ci porterà al disastro"
Lo sostiene un gruppo di cinque importanti sceicchi del distretto di Hebron (Cisgiordania), che vogliono raggiungere la pace con Israele.

Un gruppo di cinque importanti sceicchi del distretto di Hebron, in Cisgiordania, ha inviato una lettera al governo israeliano esprimendo il desiderio di aderire agli Accordi di Abramo e di raggiungere la pace con Israele. Lo riporta il Wall Street Journal. La missiva esprime il desiderio degli sceicchi di staccarsi dall'Autorità nazionale palestinese (Anp) e di costituire Hebron come Emirato che "riconosca Israele Stato del popolo ebraico, quindi Israele riconoscerà l'Emirato come rappresentante dei residenti arabi". Secondo il Wsj, altri sceicchi che sostengono l'iniziativa hanno mantenuto l'anonimato per motivi di sicurezza.

"Uno Stato palestinese ci porterà al disastro"

La lettera degli sceicchi, indirizzata al ministro dell'Economia israeliano, Nir Barkat, descrive l'accordo proposto come "equo e dignitoso", e può sostituire gli accordi di Oslo, "che hanno portato solo danni, morte, disastro economico e distruzione". Uno sceicco che ha aderito all'iniziativa ha dichiarato: "Pensare solo a creare uno Stato palestinese ci porterà tutti al disastro". Barkat ha detto al Wsj che il vecchio paradigma dei due Stati è fallito e che l'Autorità Nazionale Palestinese non gode di fiducia tra il suo popolo e in Israele. Da febbraio, il ministro ha ospitato lo sceicco Wadee' al-Jaabari - uno dei più influenti leader del clan di Hebron e promotore dell'iniziativa - e altri sceicchi nella sua casa di Gerusalemme per decine di incontri. "Lo sceicco Jaabari vuole la pace con Israele e aderire agli Accordi di Abramo, con il sostegno dei suoi confratelli. Chi in Israele dirà di no?", chiede Barkat. "Non ci sarà nessuno Stato palestinese, nemmeno tra mille anni", ha detto Jaabari al giornale, "dopo il 7 ottobre, Israele non lo concederà più". In seguito alla 'sensazionale' rivelazione del Wsj, come viene definita dai media, il Jerusalem Post ha pubblicato domenica mattina un'intervista a Jaabari.

Le premesse

La premessa dello sceicco (a cui si aggiungono i cinque firmatari della lettera e altri 13 della stessa zona) è semplice ma radicale: ha il controllo di circa il 78% della popolazione metropolitana di Hebron, che può tradursi in oltre 700.000 palestinesi, è pronto, insieme agli altri sceicchi a riconoscere Israele come Stato ebraico e a porre fine a tutte le rivendicazioni nel conflitto israelo-palestinese. L'obiettivo è quello di coinvolgere alla fine altri sei "emirati" palestinesi (secondo il modello degli Emirati Arabi Uniti), che comprendono le aree di Betlemme, Gerico, Nablus, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e infine Ramallah. Secondo il punto di vista degli sceicchi, l'Anp è una forza straniera proveniente dalla Tunisia (dove l'Olp e l'allora leader Yasser Arafat erano stati espulsi prima degli accordi di Oslo) che era tornata in Cisgiordania dopo oltre 20 anni di esilio e aveva soppiantato gli emirati tradizionali che avevano sempre gestito tutti gli affari palestinesi nella zona."

4 giorni fa
"Le richieste di Hamas non sono accettabili per Israele"
Lo ha dichiarato il premier israeliano.

"Le modifiche richieste da Hamas alla proposta ci sono state trasmesse ieri sera e non sono accettabili per Israele. Dopo una valutazione della situazione, il primo ministro Benyamin Netanyahu ha dato istruzioni di accogliere l'invito ai colloqui indiretti e di proseguire i negoziati per il ritorno dei nostri ostaggi, sulla base della proposta del Qatar alla quale Israele ha già dato il suo assenso. La delegazione negoziale partirà oggi per i colloqui a Doha". Lo ha dichiarato il premier israeliano in una nota diffusa dal suo ufficio.

4 giorni fa
Khamenei riappare in pubblico dopo fine guerra con Israele
La Guida Suprema iraniana ha partecipato oggi a una cerimonia religiosa a Teheran, secondo quanto riportato dai media statali.

La Guida Suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, ha partecipato oggi a una cerimonia religiosa a Teheran, secondo quanto riportato dai media statali. Si tratta della prima apparizione pubblica del leader iraniano dopo il cessate il fuoco con Israele del 24 giugno. Un video trasmesso dalla televisione di Stato mostra Ali Khamenei che saluta i fedeli in una moschea durante una cerimonia in occasione dell'anniversario del martirio dell'Imam Hussein, una data importante per i musulmani sciiti. L'ultima apparizione dell'ayatollah risale al 18 giugno, durante un discorso registrato durante la guerra contro Israele.

4 giorni fa
Lascia l'incarico il portavoce del premier Netanyahu
È quanto annunciato dall'ufficio del primo ministro.

Lascia l'incarico il portavoce del primo ministro Omer Dostri: lo ha annunciato l'ufficio di Benyamin Netanyahu. Dostri "ha guidato il sistema di comunicazione e informazione dell'ufficio in uno dei periodi più turbolenti e complessi della storia dello Stato di Israele, segnato da una guerra multi-frontale e da sfide politiche, militari e pubbliche.

Il mandato in un periodo difficile

Durante il suo mandato, ha gestito la comunicazione di eventi chiave come la guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza, i negoziati per la liberazione degli ostaggi, la campagna contro Hezbollah nel nord e il confronto con l'Iran", si legge nella nota. È stato inoltre responsabile della comunicazione di organismi di alto livello e sensibili, tra cui il Mossad, lo Shin Bet, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, la Commissione per l'Energia Atomica e la Segreteria di Governo.

4 giorni fa
Tregua a Gaza, Israele prende tempo prima di rispondere ad Hamas
Lo ha affermato un funzionario governativo.

Israele ha affermato oggi di stare ancora riflettendo sulla sua risposta alla reazione positiva di Hamas all'ultima proposta di cessate il fuoco a Gaza, sponsorizzata dagli Stati Uniti. "Non è stata ancora presa alcuna decisione su questo tema", ha dichiarato all'AFP un funzionario governativo a condizione di mantenere l'anonimato, non essendo autorizzato a parlarne pubblicamente. Secondo quanto riportato dai media israeliani, il gabinetto di sicurezza israeliano si dovrebbe riunire oggi, dopo la fine dello Shabbat ebraico al tramonto. Israele si starebbe preparando a inviare una delegazione per colloqui, probabilmente entro domani a Doha.

Israele prende tempo

Channel 12 riferisce che il governo ha iniziato ad analizzare la risposta di Hamas e ritiene che potrebbero emergere "lacune" nelle posizioni dell'organizzazione che include richieste di modifiche su tre punti centrali: il meccanismo per l'assistenza umanitaria a Gaza, la posizione delle forze israeliane durante la tregua, e le garanzie internazionali che gli Stati Uniti e altri paesi forniranno fino alla fine delle ostilità. Israele, alla vigilia della partenza per Washington del premier Benyamin Netanyahu, sta valutando in che modo la risposta di Hamas corrisponda alle linee guida stabilite da Gerusalemme e se sia possibile raggiungere accordi.

La proposta

Secondo Hamas, la distribuzione degli aiuti umanitari dovrebbe tornare al modello precedente, ossia sotto la responsabilità esclusiva dell'ONU, della Mezzaluna Rossa e di altri enti internazionali, senza il coinvolgimento della società privata statunitense Gaza Humanitarian Foundation (GHF) sostenuta da USA e Israele. Sul piano militare, l'organizzazione fondamentalista esige che l'esercito israeliano si ritiri alle posizioni prese durante la precedente tregua, riducendo la sua presenza nelle aree densamente popolate. Secondo fonti palestinesi, Hamas sarebbe disposto ad accettare un ritiro parziale, purché discusso in sede negoziale.

Questione ostaggi

Intanto due comitati israeliani stanno attualmente raccogliendo informazioni sulle condizioni mediche degli ostaggi ancora vivi, nel tentativo di stabilire criteri di priorità in vista di un potenziale accordo per un cessate il fuoco graduale, riferiscono i media israeliani. Si tratta di un comitato del ministero della salute e di uno dell'intelligence militare dell'esercito, che stanno elaborando raccomandazioni da trasmettere alla squadra negoziale. I 20 ostaggi ancora in vita sarebbero tutti considerati "umanitari", ma l'obiettivo è determinare chi debba essere liberato per primo in base alla condizione fisica e mentale.

Cosa prevede l'accordo

L'accordo in discussione prevede il rilascio di 8 ostaggi vivi il primo giorno, altri 2 al cinquantesimo giorno e i rimanenti 10 una volta raggiunta un'intesa sui termini di un cessate il fuoco permanente, attesa entro i 60 giorni di tregua. Non è ancora chiaro se Hamas accetterà una lista israeliana come parte dell'accordo. Nell'intesa precedente Israele aveva fornito anticipatamente una lista di nomi all'organizzazione palestinese. Fonti diplomatiche arabe hanno dichiarato al quotidiano libanese "Al-Akhbar" che l'accordo appare ormai vicino, e potrebbe essere attuato rapidamente dopo la firma formale. Tuttavia, secondo gli stessi interlocutori, "le vere difficoltà emergeranno nella fase successiva", con la definizione del cosiddetto "giorno dopo": il destino delle armi a Gaza, la gestione civile della Striscia e le modalità di coordinamento umanitario. Israele, secondo la stampa araba, accetta la prosecuzione dei negoziati anche oltre la scadenza ufficiale.

5 giorni fa
Hamas: "Pronti ad avviare subito dei negoziati sulla tregua"
Lo ha dichiarato ieri in tarda serata Hamas su X.

"Il movimento ha completato le consultazioni interne e con le fazioni e le forze palestinesi sull'ultima proposta dei mediatori per porre fine all'aggressione contro il nostro popolo a Gaza. Il movimento ha inviato una risposta positiva ai fratelli mediatori ed è pienamente pronto ad avviare immediatamente un ciclo di negoziati sul meccanismo per l'attuazione di questo quadro". Lo ha dichiarato ieri in tarda serata Hamas su X. Una fonte israeliana ha confermato a Ynet che Israele ha ricevuto il documento di risposta di Hamas, consegnato dai mediatori, e che "ne sono allo studio i dettagli". La Jihad Islamica, alleata di Hamas, ha dichiarato di sostenere i piani per i colloqui per una tregua con Israele a Gaza, ma ha chiesto "garanzie" che il processo porti a un cessate il fuoco permanente.

"Vogliamo ulteriori garanzie"

"Abbiamo presentato (ad Hamas) una serie di punti dettagliati sul meccanismo per attuare la proposta dei mediatori e vogliamo ulteriori garanzie per assicurarci (che Israele) non riprenderà le sue aggressioni dopo la liberazione (degli ostaggi)", ha dichiarato il gruppo in una nota, dopo che Hamas ha indicato di essere pronto per i colloqui.

5 giorni fa
Hamas approva il piano USA per il cessate il fuoco, ma con lievi modifiche
Lo riferiscono fonti della tv del Qatar Al Araby.

Fonti della tv del Qatar Al Araby hanno riferito che "Hamas ha risposto positivamente alla proposta Usa di cessate il fuoco chiedendo piccole modifiche". Secondo quanto riferito da Al Araby, Hamas ha accettato tutte le questioni chiave in discussione e ha richiesto solo lievi modifiche alla formulazione del documento. La bozza di accordo era stata approvata all'inizio di questa settimana dal ministro israeliano per gli Affari Strategici, Ron Dermer, durante la sua visita a Washington.

La dichiarazione di Hamas

"Il movimento ha completato le consultazioni interne e con le fazioni e le forze palestinesi sull'ultima proposta dei mediatori per porre fine all'aggressione contro il nostro popolo a Gaza. Il movimento ha inviato una risposta positiva ai fratelli mediatori ed è pienamente pronto ad avviare immediatamente un ciclo di negoziati sul meccanismo per l'attuazione di questo quadro". Lo dichiara Hamas su X.

La proposta statunitense

Rilascio scaglionato degli ostaggi sia vivi che deceduti, ampia assistenza umanitaria attraverso Onu e Mezzaluna Rossa, calendario dei negoziati per una tregua permanente, garanzie di Trump sulle trattative: questi i punti principali dell'accordo proposto dagli Usa sul cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza, pubblicato dalla rivista saudita Al-Majalla. Di seguito i punti principali dell'intesa su cui Hamas si è espressa favorevolmente ma chiedendo delle piccole modifiche formali.

OSTAGGI
I dieci ostaggi israeliani vivi e i 18 deceduti saranno rilasciati a scaglioni nell'arco dei 60 giorni. Il primo giorno ne verranno rilasciati 8 vivi, poi 10 deceduti entro un mese e gli altri due vivi saranno consegnati il 50mo giorno. In cambio del rilascio degli ostaggi israeliani, Israele libererà un numero concordato di detenuti palestinesi. Il processo avverrà parallelamente al rilascio degli ostaggi, senza cerimonie pubbliche, secondo un meccanismo concordato in anticipo. Il giorno 10 Hamas fornirà informazioni complete (prove di vita e rapporti medici/prove di morte) su ciascun ostaggio rimanente. In cambio, Israele trasmetterà informazioni dettagliate sui detenuti arrestati a Gaza dal 7 ottobre e sul numero dei morti tra i civili di Gaza presenti in Israele.

NEGOZIATI
Tutte le attività militari offensive dell'Idf nella Striscia di Gaza cesseranno con l'entrata in vigore dell'accordo. I negoziati si apriranno il primo giorno, sotto l'egida dei mediatori-garanti, per raggiungere una tregua permanente che comprenda anche le disposizioni sul ridispiegamento e ritiro delle forze israeliane e sugli accordi di sicurezza a lungo termine a Gaza. Il giorno 1, dopo il rilascio degli 8 ostaggi vivi, avverrà un ridispiegamento nel nord della Striscia e lungo il corridoio Netzarim, secondo l'articolo 3 sull'assistenza umanitaria e basandosi su mappe concordate. Un ulteriore ridispiegamento, a Sud, avverrà il giorno 7, dopo la restituzione di 5 cadaveri, sempre secondo le mappe concordate.

ASSISTENZA UMANITARIA
L'assistenza sarà trasferita immediatamente nella Striscia di Gaza dopo il consenso di Hamas all'accordo. La distribuzione avverrà secondo un'intesa che garantisce la fornitura costante durante tutta la tregua, in base all'accordo del 19 gennaio 2025 sull'assistenza umanitaria. La distribuzione avverrà tramite canali concordati, tra cui le Nazioni Unite e la Mezzaluna Rossa.

7 giorni fa
Gaza Humanitarian Foundation: la sede ginevrina sarà chiusa
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Lo ha reso noto oggi l'Autorità federale di vigilanza (AFV) sulle fondazioni nel Foglio ufficiale svizzero di commercio. Il suo obiettivo era coordinare la distribuzione di cibo a Gaza senza far capo alle Nazioni Unite.

La sede ginevrina della controversa Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sarà chiusa. Lo ha reso noto oggi l'Autorità federale di vigilanza (AFV) sulle fondazioni nel Foglio ufficiale svizzero di commercio. Il suo obiettivo era coordinare la distribuzione di cibo a Gaza senza far capo alle Nazioni Unite. La decisione è stata presa perché la GHF "non ha rispettato diversi obblighi legali", ha precisato a Keystone-ATS il Dipartimento federale dell'interno (DFI), aggiungendo che si tratta della procedura abituale in casi di questo tipo. "La consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider non ha avuto alcuna influenza su questa procedura o su questa decisione". L'antenna ginevrina della GHF, organizzazione creata e sostenuta da Stati Uniti e Israele, non è operativa. È una filiale della GHF, che ha sede nel Delaware (USA), ed è stata registrata in Svizzera per motivi finanziari a inizio anno. L'AFV potrà ordinarne lo scioglimento se nessun creditore si registrerà entro il termine legale di 30 giorni, è stato precisato.

Varie lacune legali

Nelle ultime settimane, l'AFV ha avuto "contatti sporadici" con la GHF, che da parte sua ha confermato di non aver mai svolto attività in Svizzera come fondazione e di voler chiudere la sede registrata a Ginevra. Visto che non rispettava alcuni obblighi legali, l'AFV ha chiesto alla GHF di chiarire la sua situazione entro la fine di giugno. Tra le lacune individuate, l'AFV ha in particolare notato l'assenza di un membro del consiglio di amministrazione autorizzato a firmare e domiciliato in Svizzera, l'assenza di un conto in Svizzera, come pure di un indirizzo valido.

Parlamento contrario

All'inizio di questa settimana, le due commissioni di politica estera del Parlamento hanno chiesto espressamente al Consiglio federale di astenersi da qualsiasi collaborazione diretta o indiretta con la GHF. Al termine della sua recente visita in Medio Oriente, il consigliere federale Ignazio Cassis aveva dichiarato all'agenzia Keystone-ATS che la GHF "pone un problema perché non segue i principi umanitari" ma "li sta imparando".

Distribuzione cibo: centinaia di morti

Le Nazioni Unite e diverse Ong hanno pesantemente criticato la GHF e si sono rifiutate di lavorare con essa, a causa di dubbi sulle sue procedure e sulla sua neutralità. La fondazione nega da parte sua qualsiasi incidente all'interno dei suoi centri. Il Ministero della Sanità di Gaza sostiene che dalla fine di maggio quasi 550 persone siano state uccise nei pressi dei siti di distribuzione gestiti dalla GHF, mentre cercavano di procurarsi del cibo. Israele ha imposto un blocco umanitario sulla Striscia di Gaza all'inizio di marzo, ciò che ha portato a gravissime carenze di cibo, farmaci e altri beni di prima necessità. La situazione è stata alleviata solo marginalmente dalla GHF. Ieri circa 170 Ong internazionali hanno chiesto la fine di questo nuovo sistema di distribuzione degli aiuti e il ritorno al meccanismo che vigeva fino a marzo, quando la fornitura degli aiuti era coordinata da varie ong e agenzie ONU.

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