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Anders Breivik vuole la libertà condizionata
Foto Youtube
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Keystone-ats
4 anni fa
Il pluriomicida neonazista, che nel 2011 massacrò 77 persone sull’isola di Utoya, ha scontato 10 anni di carcere e vuole approfittare della possibilità di un rilascio condizionato

Il terrorista Anders Behring Breivik ci riprova. Il 41enne neonazista norvegese che nel 2011 massacrò a sangue freddo 77 persone, soprattutto giovanissimi ragazzi e ragazze, vuole ottenere la libertà vigilata dopo nove anni di carcere e ha di nuovo fatto causa allo Stato norvegese - come fece già nel 2015, vincendo incredibilmente in primo grado - per violazione dei diritti umani per averlo tenuto “per così tanto tempo in isolamento”.

Condannato a 21 anni, prolungabili
Nell’aprile del 2012 Breivik fu condannato alla pena massima prevista dal codice penale norvegese, 21 anni di carcere, ai quali si possono tuttavia aggiungere di volta in volta, in caso di comprovata pericolosità, pene aggiuntive di cinque anni. Nell’annunciare il ricorso, il suo legale Oystein Storrvik ha spiegato al tabloid norvegese Verdens Gang che dal luglio del 2021 saranno trascorsi 10 anni dall’inizio della sua detenzione, il minimo della pena da scontare in carcere, dopo i quali teoricamente potrebbe avere diritto al rilascio condizionato.

“E’ un diritto che tutti i detenuti hanno (in Norvegia) e di cui anche lui vorrebbe usufruire”. Il problema, ha aggiunto l’avvocato Storrvik, “è se sussistano ancora le condizioni per tenerlo in detenzione”. Il ricorso, ha detto, è a triplice firma: Storrvik, Breivik e il nuovo nome che il terrorista si è dato qualche anno fa: Fjotulf Hansen, una misteriosa combinazione fra il cognome norvegese più comune e uno dei nomi propri più rari, che Breivik condividebbe ora con 2-3 persone in tutto.

Isolamento “violazione dei diritti umani”
Nel carcere di massima sicurezza di Skien, a sud-ovest di Oslo, Breivik ha a disposizione tre celle di dieci metri quadrati l’una con vista sulla campagna, una palestra privata con pesi, tv, lettore dvd, consolle per videogiochi, un pc senza connessione internet e un divano. Alcuni di questi ‘comfort’ furono misure compensative allo stato di isolamento dagli altri detenuti al quale è sottoposto. Misure applicate dopo la sentenza del 2016 che gli diede parzialmente ragione dopo la prima denuncia per presunte “violazioni dei diritti umani” e trattamento “disumano” e “degradante”: denuncia poi respinta in appello e dalla Corte europea dei diritti umani, la cui Convenzione, sosteneva Breivik, era stata violata.

Ora ci riprova, giustificando il ricorso con “il lungo isolamento” a cui è stato costretto: un trattamento che le misure “compensative” non attenuerebbero, secondo l’avvocato Storrvik.

L’attentato del 2011
In un atto di ferocia meticolosamente pianificato da tempo, il 22 luglio del 2011 Breivik uccise prima otto persone facendo esplodere un’autobomba, fabbricata con del fertilizzante, nel centro di Oslo davanti a un ufficio governativo. Un atto contro quell’odiato governo progressista colpevole, ai suoi occhi, di permettere l’immigrazione e il multiculturalismo in Norvegia. Poi in auto si recò alla placida isoletta di Utoya, in un lago alle porte della capitale, dov’era in corso il raduno annuale della gioventù laburista. Qui, vestito da poliziotto e armato di fucile automatico e pistola, inseguì e assassinò a sangue freddo 69 adolescenti.

Con sulle spalle un fardello di 77 morti e 319 feriti - un bilancio che altri, a cominciare dal suprematista bianco Brenton Tarrant in Nuova Zelanda, hanno cercato di superare - nell’aprile del 2012 Breivik si presentò in aula impassibile e sprezzante e fece un saluto nazista che divenne una sorta di icona del male.

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