
La tassa sugli extraprofitti bancari introdotta in Italia dal governo di Giorgia Meloni fa discutere anche in Svizzera, tanto più che pure gli istituti di credito elvetici attivi nel settori tradizionali stanno veleggiando verso un'annata d'oro, almeno a prestar fede alle indicazioni del primo semestre: lo riferisce Finews.ch. Stando al portale di informazione finanziaria, nella prima parte dell'anno i ricavi da operazioni su interesse realizzati dalle società in questione si sono talvolta moltiplicati per quattro nel confronto con lo stesso periodo del 2022, sulla scia dell'aumento dei tassi d'interesse. Inoltre la Banca nazionale svizzera (BNS) ha versato 3,3 miliardi di interessi alle banche sui loro conti giro nel periodo gennaio-giugno.
Per il PS "serve una tassa generale sugli extraprofitti"
Questo riporta all'ordine del giorno anche la questione di un'imposta speciale sugli utili in Svizzera. Tale imposta è stata oggetto di un acceso dibattito lo scorso autunno in relazione agli enormi profitti del settore energetico, che poco prima aveva peraltro fatto ricorso al sostegno dello stato. Il Partito socialista voleva scremare quelli che considerava guadagni in eccesso e aveva trovato supporto nell'allora "ministra" dell'energia Simonetta Sommaruga (PS). Secondo il consigliere nazionale Cédric Wermuth (PS/AG), membro della Commissione dell'economia e dei tributi (CET) del suo ramo del parlamento, un'imposta sugli utili in eccesso dovrebbe essere applicata anche alle banche svizzere. "Tuttavia, è necessaria una tassa generale sugli extraprofitti", spiega in dichiarazioni raccolte da Finews.ch. "Stiamo cercando di farla approvare in parlamento".
Contraria l'UDC
Sul fronte opposto dello spettro politico, il consigliere nazionale Thomas Aeschi (UDC/ZG), che a sua volta fa parte della CET, si dice assolutamente contrario alla proposta. Un'imposta speciale sui profitti delle banche sarebbe del tutto arbitraria, sostiene. "Perché un settore dovrebbe essere tassato e un altro no?", si chiede il 44enne. "Inoltre l'UDC è fondamentalmente contraria a nuove imposte". Come ci si poteva attendere, lo stesso ramo finanziario non vede di buon occhio l'idea che giunge dall'Italia, peraltro già applicata anche in altri paesi. Secondo l'Associazione svizzera dei banchieri (ASB) le cosiddette "windfall taxes" (imposte sui guadagni inaspettati) sono generalmente poco sensate. "Per le aziende interessate, esse comportano una notevole incertezza giuridica e di pianificazione e peggiorano l'attrattiva di una piazza economica", ha indicato l'organismo a Finews.ch. Inoltre, i profitti derivanti dall'attività su interesse sono già gravati dalle consuete imposte sugli utili, sottolinea l'ASB.
Come funziona la tassa sugli extraprofitti delle banche
La tassa sugli extraprofitti delle banche, approvata dal consiglio dei ministri italiano nel decreto denominato "asset", viene definita nella norma "imposta straordinaria" per il carattere una tantum della misura. Il modello ricalca quello sperimentato dal governo Draghi sulle imprese energetiche per recuperare risorse a favore di imprese e famiglie contro il caro-energia. La misura viene ora traslata sul mondo bancario con l'intento di combattere il caro-mutui. Ecco come funzionerà in base alla bozza della norma circolata negli scorsi giorni.
Cosa sono gli extraprofitti e chi paga
Nel caso delle banche sono calcolati sul margine di interesse, ovvero sulla differenza tra interessi attivi e interessi passivi. Gli interessi attivi sono quelli che la banca incassa come guadagno per aver concesso prestiti o mutui (in linea con i tassi della Banca centrale europea). Gli interessi passivi sono quelli che la banca stessa deve pagare alla clientela, sui conti correnti (oggi quasi a zero) o sui conti deposito. Di fatto gli extraprofitti sono i guadagni che la banca incassa in più con l'aumento dei tassi di interesse. Il prelievo viene istituito per il 2023 a seguito del rialzo dei tassi di interesse e "dell'impatto sociale derivante dall'aumento delle rate dei mutui". Sarà a carico degli intermediari finanziari, ma verranno escluse le società di gestione dei fondi comuni d'investimento e le società di intermediazione mobiliare.
Aliquota al 40%
L'imposta straordinaria si calcola applicando un'aliquota pari al 40% sul maggior valore del margine di interesse dell'esercizio 2022 che eccede per almeno il 5% il margine del 2021 e tra il margine di interesse relativo al 2023 che eccede in questo caso per almeno il 10% il margine 2021. L'ammontare dell'imposta straordinaria, in ogni caso, non può essere superiore a una quota pari al 25% del valore del patrimonio netto della banca alla chiusura dell'esercizio 2022.
Quando la si deve pagare
L'imposta straordinaria va versata entro il sesto mese successivo a quello di chiusura dell'esercizio 2023, in pratica per la maggior parte delle banche entro giugno 2024. La norma precisa che i soggetti che approvano il bilancio oltre il termine di quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio effettuano il versamento entro il mese successivo a quello di approvazione del bilancio. Per i soggetti con esercizio non coincidente con l'anno solare, se il termine scade nel 2023, il versamento è effettuato nel 2024, comunque, entro il 31 gennaio. L'imposta straordinaria non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive. Ai fini dell'accertamento, delle sanzioni e della riscossione dell'imposta straordinaria, nonché del contenzioso, si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi. La stessa norma stabilisce la destinazione degli incassi: le maggiori entrate serviranno a rifinanziare il fondo mutui prima casa per gli under 36 e "per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese". Si tratta di misure che saranno probabilmente inserite nella manovra per il prossimo anno.
Fino a 3 miliardi di incassi
Le prime stime indicano possibili entrate da 2,5/2,8 miliardi, ma la norma finora visibile non è accompagnata dalla relazione tecnica. La cifra basterebbe ampiamente per i mutui, che valgono qualche centinaia di milioni, ma solo parzialmente per rinnovare ad esempio il taglio del cuneo (che per un anno vale circa 9 miliardi) o per ridurre da 4 a 3 le aliquote Irpef. Per le varie ipotesi sul tavolo si parte infatti da almeno 4 miliardi.