Decoder
Verso il voto: i caccia
Marco Jäggli
4 anni fa
Il 27 settembre il popolo svizzero dovrà decidere dell’acquisto dei nuovi aerei da combattimento. Tiziano Galeazzi e Laura Riget si confrontano sul tema

Nella prossima tornata elettorale il popolo svizzero sarà chiamato a decidere del credito stanziato dal Parlamento a favore dell’acquisto dei nuovi caccia dell’esercito. 4 i nuovi modelli che potrebbero essere scelti (di cui parleremo più tardi), ma su questo il popolo non potrà esprimersi: la decisione infatti spetterà all’Esercito, una volta ricevuti i fondi. Non è la prima volta che, negli ultimi anni, gli svizzeri sono chiamati ad esprimersi su un tema simile: nel 2014 infatti il voto popolare aveva bocciato l’acquisto degli aerei da caccia Gripen, per 3 miliardi di franchi, che sarebbero quindi costati la metà di quelli in oggetto. In questo Decoder mettiamo a confronto i pareri di favorevoli e contrari, grazie anche all’aiuto di Tiziano Galeazzi, granconsigliere UDC e membro del comitato per il “sì”, e Laura Riget, granconsigliera, co-Presidente del PS ticinese e membro del comitato per il no.

Lo stato degli F/A-18
Che si sia favorevoli o contrari all’iniziativa, un dato è chiaro: gli F/A-18 “Hornet” non potranno proseguire il loro servizio oltre il 2030. Diversi caccia hanno già presentato problemi strutturali, in particolare alle ali, che per esempio nel 2019 hanno impedito ad alcuni velivoli di partecipare a un airshow. F/A-18 che, ha spiegato inoltre l’Esercito, soffre particolarmente dell’usura a causa le condizioni del territorio svizzero, che obbligano a salite ripide tra le montagne oltre che un uso “a strappi” del motore, viste le ristrette dimensioni del territorio nazionale. Da qui la necessità di trovare un sostituto.

I 4 candidati

Da in alto a sinistra, in senso antiorario, l’F/A-18 “Super Hornet”, il Rafale, l’F-35 e l’Eurofighter Typhoon
Da in alto a sinistra, in senso antiorario, l’F/A-18 “Super Hornet”, il Rafale, l’F-35 e l’Eurofighter Typhoon

Sono quattro gli aerei in competizione tra loro per l’acquisto da parte delle forze armate. Il primo modello proposto è l’aggiornamento degli F/A18 attuali, l’F/A18E “Super Hornet” americano, che come si nota già dal nome è una versione potenziata del normale “Hornet”. Il “Super Hornet” presenta il vantaggio, rispetto agli altri caccia, di costituire il modello più simile agli aeromobili attualmente in dotazione. Gli altri candidati sono l’Eurofighter, prodotto da un consorzio di tre produttori europei (Airbus, Aermacchi e Bae), il Rafale della francese Dassault e il più recente caccia stealth statunitense, l’F-35 di Lockheed Martin. Aerei con performance e costi differenti, costi da cui dipenderà anche il numero dei caccia acquistati. In caso di vittoria del “Sì”, spetterà all’Esercito decidere il modo più opportuno di stanziare questi crediti.

Compiti e utilità
Nell’intenzione dell’Esercito i nuovi caccia dovrebbero assolvere sia ai compiti di polizia aerea, che richiedono almeno un paio di centinaia di sortite ogni anno, che come arma tecnologicamente aggiornata in un’ipotetica situazione di guerra. Questo ha sollevato le critiche degli oppositori, che hanno obiettato che lo scenario è altamente improbabile visto che la Svizzera è circondata essenzialmente da nazioni amiche e in pace da 75 anni. Per questo, ritengono, sarebbe piuttosto auspicabile l’acquisto di aerei da combattimento “leggeri” o di addestratori, dal costo decisamente inferiore e con un’impronta ambientale marcatamente ridotta, sufficienti a parere dei contrari per i compiti di polizia aerea. Parere non condiviso dai favorevoli, che sostengono che questi modelli abbiano una velocità troppo ridotta (spesso al di sotto della barriera del suono) e non sarebbero quindi capaci di intercettare efficacemente molti modelli di aerei di linea.

I costi
Come già spiegato, è di 6 miliardi il credito approvato all’Esercito per l’acquisto dei nuovi caccia da combattimento. Spesa cui però si aggiungono anche i costi di gestione e manutenzione per la durata di vita degli aeromobili, che ammonta a circa 3 volte il credito concesso. Secondo stime delle forze armate, come dichiarato dal Capo dell’Esercito Thomas Suessli, il costo totale sarà dunque di 18 miliardi, per i contrari invece questa cifrà ammonterà invece a 24 miliardi. Questi saranno spalmati sull’arco dell’intera durata di vita degli aerei, ovvero dalla data dell’acquisto al 2060, anno del previsto ritiro, ma per i contrari ad ogni modo è una cifra decisamente eccessiva, specialmente durante la crisi economica generata dalla pandemia, mentre per i favorevoli si tratta di normali costi di gestione, che rientreranno nel budget dell’Esercito e il cui peso non sarà così rilevante visto il pagamento nell’arco di 40 anni. Inoltre, sottolineano, il 60% delle commesse relative ai caccia verrà assegnato da aziende svizzere, provocando quindi ricadute positive per il paese al di là dei possibili vantaggi per le relazioni commerciali con i paesi costruttori degli aerei. Commesse i cui effettivi benefici non convincono i contrari, che sottolineano comunque come i soldi sarebbero meglio spesi in altri settori, ad esempio la sanità.

In caso di “no” a chi rimangono i soldi?
Le forze armate, e i favorevoli all’iniziativa, sostengono che in caso di vittoria del “no”, il credito stanziato rimarrà comunque nel budget dell’Esercito per i prossimi anni. Sulla carta è così, ribattono i contrari, ma sono previsti aumenti di spesa annuali che andranno votati in Parlamento di volta in volta. Inoltre, sostengono, sarebbe anche possibile riaprire una discussione in Parlamento per un riallocamento dei fondi. Riallocamento, va detto, sul quale sembra però difficile mettersi d’accordo visto che la maggioranza dell’attuale Assemblea federale è la stessa che ha approvato il credito per gli aerei da combattimento.

La polemica sugli “orari d’ufficio” dei caccia
Nel 2014, l’anno della votazione del Gripen, il tema dell’acquisto dei nuovi caccia fu perturbato da una notizia al limite del comico e allo stesso tempo preoccupante: i caccia del servizio di polizia aerea erano disponibili solo dalle 8:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 17:00. Insomma, durante gli orari d’ufficio. Il fatto balzò agli onori della cronaca dopo il dirottamento di un Boeing 767-300 dell’Ethiopian Airlines che venne costretto ad atterrare attorno alle 6 di mattina all’aeroporto di Ginevra, ma dai caccia dell’aviazione francese e di quella italiana. Questo perché il fatto era avvenuto prima dell’entrata in servizio dei piloti da caccia della Confederazione.

La questione non aveva mancato di sollevare critiche all’Esercito, costretto a ripiegare sull’assistenza estera, portando diversi commentatori a domandare quale fosse l’effettiva utilità di questa forza aerea e se a questo punto non si potesse sub-appaltarla completamente alle nazioni vicine, fatto che potrebbe aver influenzato la successiva votazione. L’Esercito ha risposto a questa rivelazione imbarazzante aumentando gradualmente gli orari di attività dei caccia, che a partire dal primo gennaio 2019 vanno dalle 6:00 alle 22:00, con l’idea di renderlo un servizio 24 ore su 24 a partire da fine 2020.

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