Decoder
Vent’anni fa il G8 e la morte di Giuliani
Federico Marino
3 anni fa
Nel 2001 l’Italia si apprestava ad ospitare la conferenza degli 8 paesi dalla ricchezza netta maggiore al mondo. Violenze, disordini, morti e feriti: un bilancio terrificante che ha scritto una pagina triste della storia. Nel decoder l’intervista al padre di Carlo Giuliani

Esattamente 20 anni fa si apriva il G8 di Genova. Abbiamo ripercorso a grandi linee gli eventi che hanno tragicamente segnato una delle pagine più buie della storia recente italiana, ma anche europea. La recente sentenza della Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo che ha respinto il ricorso di due poliziotti condannati per i fatti della scuola Diaz ha riportato la vicenda sotto i riflettori. Abbiamo cercato di ripercorrerne i punti principali, con il contributo di Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il giovane manifestante che ha perso la vita negli scontri.

I fatti
Nel 2001 l’Italia si apprestava ad ospitare la conferenza degli 8 paesi dalla ricchezza netta maggiore al mondo. L’evento nasceva già in un clima di tensione dovuto ai disordini verificatosi alle conferenze internazionali precedenti: il movimento no-global aveva preso forma e manifestato nel 1999 a Seattle, e in seguito a Davos, Napoli e Göteborg. Inoltre, la scelta di Genova per ospitare il summit è stata immediatamente criticata: Napoli fu scartata per la sua morfologia poco adeguata a garantire l’ordine pubblico, nonostante sia molto simile a quella del capoluogo ligure. La sede scelta per il summit è Palazzo Ducale. Consapevoli del clima di tensione che aleggiava sulla città, le autorità decidono di istituire una zona rossa interdetta ai manifestanti proprio in quel punto. Quando un gruppo di black bloc inizia a danneggiare supermercati e negozi nell’area del centro del capoluogo ligure 300 carabinieri sono dispiegati sulle strade. Le immagini dei disordini e dei danneggiamenti iniziano a circolare a livello internazionale. Il vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini opera una visita inaspettata alla caserma di San Giuliano per alcune ore. Per dei motivi che restano tutt’oggi sconosciuti, il battaglione sbaglia successivamente strada e carica il corteo sbagliato, come riportano le recenti rievocazioni dei fatti redatte da Corriere della Sera e Il Giorno. A rimanere coinvolto fu il gruppo delle Tute bianche, che stava manifestando su corso Torino pacificamente e disponendo di un’autorizzazione. Carlo Giuliani si era unito a questi manifestanti alle 16:30.

La morte di Giuliani
A seguito di una prima serie di scontri, alle 17, i carabinieri indietreggiano di fronte a una carica dei manifestanti. Due jeep Defender rimangono isolati in piazza Alimonda. Su uno dei due veicoli è presente l’agente ventenne Mario Placanica. Un gruppo di manifestanti inizia ad attaccare i mezzi dei carabinieri, sprovvisti di blindatura. È proprio Placanica che, quando vede Carlo Giuliani brandire un estintore, esplode il colpo d’arma da fuoco che gli sarà fatale. Nel 2003 il gip Elena Daloisio dispone l’archiviazione del caso Giuliani. Il processo non si terrà mai. Placanica avrebbe agito per legittima difesa. Nello stesso anno, la procura ha archiviato la posizione dei 93 arrestati alla scuola Diaz.

“La macelleria messicana” della scuola Diaz
Tuttavia, le violenze non cessano con il calare del sole. Alle 21 il VII nucleo del reparto mobile di Roma, guidato da Vincenzo Canterini, fa irruzione nella scuola Diaz con il pretesto di una perquisizione. La scuola era stata precedentemente trasformata in centro di coordinamento del Genoa Social Forum (una rete di movimenti di contestazione no-global). Il risultato, di quella che poi è stata definita una “macelleria messicana” da uno dei dirigenti dell’operazione, sono 93 arresti e 60 feriti, di cui due gravi. Le testimonianze parlano di piercing strappati, manifestanti manganellati a terra in pozze di sangue e costretti a stare in piedi per ore. Alcuni agenti si sarebbero resi poi protagonisti di un tentativo di depistaggio, introducendo false prove sulla scena del delitto. Nel 2012, si conclude in cassazione il processo a dirigenti ed agenti dell’irruzione nella scuola Diaz. L’autorità giudiziale ha stabilito che la polizia ha prodotto prove false con lo scopo di depistare le indagini. La condanna tocca l’intera scala gerarchica dell’operazione, con pene comprese tra 4 anni e 3 anni e 6 mesi. Le accuse per lesione sono cadute in prescrizione. La corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito nel 2015 che i fatti della Diaz fossero da considerarsi “tortura”, reato che all’epoca non poteva essere punito con gli strumenti del Codice penale italiano. Nel 2020 due dei funzionari condannati per aver rispettivamente introdotto e rinvenuto false prove nella scuola Diaz sono stati promossi a vicequestori.

La caserma di Bolzaneto
Gran parte delle persone arrestate alla scuola Diaz sono state condotte alla caserma di Bolzaneto. Anche in questa sede le violenze fisiche e morali nei confronti dei manifestati in stato di fermo non cessano. L’Espresso riporta testimonianze che parlano di torture, minacce ed umiliazioni. Le condanne per i fatti di Bolzaneto giungono solamente nel 2017. La sentenza sancisce che nei giorni immediatamente successivi al summit oltre 300 persone sono state picchiate, umiliate e si sono viste negare la possibilità di incontrare i loro legali.

Il bilancio complessivo della tre giorni di scontri è di 560 feriti, 219 arresti e un morto. I fatti di Genova sono stati definiti da una funzionaria di Amnesty International “la più grande sospensione dei diritti civili in un paese democratico dal dopoguerra”. Ancora oggi, è l’occasione per interrogarci sul significato di quegli eventi.

L’intervista a Giuliano Giuliani
Mauro Antonini ha parlato con Giuliano Giuliani, padre di Carlo. La sua testimonianza racconta tutta la sua rabbia per una tragedia vissuta sulla propria pelle.

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