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Una storia in uno scatto
© Noah Berger, United States, for Associated Press, Battling the Marsh Fire
© Noah Berger, United States, for Associated Press, Battling the Marsh Fire
La World Press Photo anche quest’anno ha fatto tappa in Ticino. Dal 1955 premia i migliori fotografi della stampa, i fotogiornalisti e fotografi documentaristi. Quest’anno occhi puntati sui movimenti pacifisti dei giovani: “Dare soluzioni e non solo vittimizzare”

Anche quest’anno la World Press Photo ha fatto tappa in Ticino, sostando dal 28 agosto al 4 ottobre, presso SpazioReale nel cuore di Monte Carasso. L’Antico Convento delle Agostiniane ha ospitato 139 fotografie finaliste del più prestigioso concorso di fotogiornalismo al mondo. La World Press Photo è nata nel 1955 e ogni anno premia gli scatti che meglio abbiano saputo catturare un momento di grande rilevanza giornalistica e umana.

Quest’anno è stato dato ampio spazio ai movimenti pacifisti dei giovani e alla questione climatica presente, praticamente, in tutte le categorie. Noi siamo andati a visitare la mostra e abbiamo parlato con la curatrice World Press Phodo Foundation, Samira Damato.

Cos’è la World Press Photo?

“La forza del fotogiornalismo sta nel raccontare una storia complessa in un solo istante e comunicare non solo fatti di cronaca ma emozioni”. Così Samira Damato ha spiegato l’importanza di avere un concorso fotografico come quello di World Press Photo. Il fotogiornalismo può e deve essere costruttivo in modo da “lasciar intravvedere il concetto di speranza e la possibilità di trovare delle soluzioni”. I valori centrali della World Press Photo sono accuratezza, trasparenza e diversità. Quest’ultimo molto sentito quest’anno: “È stato svolto un grande lavoro per assicurare e unire le diversità geografiche e di genere. La maggior parte dei fotografi sono europei ma l’obiettivo della Fondazione è apire il concorso il più possibile a nuovi territori e a persone del posto”.

In questo senso la World Press Photo ha sostenuto progetti locali per fare in modo di non avere solo fotografie “di uomini europei bianchi” ma di aprire all’opportunità di scattare e di raccontare anche alle persone del posto. “La World Press Photo vuol dire scambio culturale e puntiamo ad avere questa apertura. La foto è il nostro mezzo per comunicare”.

L’importanza del fotogiornalismo e la questione ambientale

Foto che spesso, in mostre come quella in questione, già immaginiamo. Sofferenze, sangue, guerre: tutti concetti connotati alla negatività delle situazioni che purtroppo si verificano tutti i giorni nel mondo. Ma è qui che le forze della Fondazione quest’anno si sono concentrate. “L’obiettivo è trovare un equilibrio, ci aspettiamo sempre l’aspetto negativo delle immagini ma è questo che il mercato del giornalismo cerca”, ha spiegato Damato. Uno sforzo, dunque, che si indirizza verso il giornalismo costruttivo: “La sfida di base del giornalismo e del fotogiornalismo è di raccontare attraverso delle immagini una storia complessa. Ma quanto è etico continuare a mostrare e raccontare solo il dramma quotidiano?”. I visitatori – ha detto la curatrice – “devono guardare i protagonisti delle fotografie non sempre e solo come vittime. È importante che attraverso le emozioni si instauri un dialogo tra le persone”.

Il giornalismo costruttivo guarda al futuro, ed è questo il denominatore comune della mostra itinerante del 2020. “L’idea di questo tipo di giornalismo è di dare, attraverso un’immagine, soluzioni, speranza e non solo sofferenza”. E, proprio in questo contesto, si inserisce la foto vincitrice di quest’anno: “Straight Voice” di Yasuyoshi Chiba, fotografo giapponese.

© Yasuyoshi Chiba, Japan, Agence France-Presse, Straight Voice
© Yasuyoshi Chiba, Japan, Agence France-Presse, Straight Voice

“Straight Voice” della categoria “General News” è arrivata in finale con altri 43 finalisti provenienti da 24 nazioni, ritrae un ragazzo intento a recitare una poesia di protesta, illuminato dalla luce dei cellulari di altri giovani manifestanti che attorno a lui intonano slogan e reclamano un governo democratico per il Sudan, durante il blackout a Khartum nel 2019. Ed è qui che sta il fulcro del giornalismo costruttivo: i giovani, nonosante il Governo abbia staccato l’elettricità e tolto internet da tutta la regione, non spengono le loro voci.

Samira Damato commenta la foto vincitrice

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