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Legge sulla parità, cosa cambia
Lara Sargenti
4 anni fa
Entra in vigore oggi la nuova normativa, che obbliga le aziende con più di 100 collaboratori a svolgere un’analisi sulla parità di salario. I sindacati: “Non basta”

Oggi, 1° luglio, entra in vigore la revisione della Legge federale sulla parità. Una modifica che intende migliorare l’attuazione della parità salariale sancita dal 1981 nella Costituzione federale. La nuova ordinanza, adottata dal Parlamento il 14 dicembre 2018, obbliga le aziende con più di 100 collaboratori a svolgere entro un anno un’analisi sulla parità di salario. Il provvedimento concerne lo 0,9% delle imprese, che impiegano il 46% dei lavoratori svizzeri. In cifre, le imprese interessate sono 5’693 su un totale di 601’755 e occupano 2,51 milioni di lavoratori su un totale di oltre 5,2 milioni.

Un ufficio di revisione indipendente dovrà verificare l’analisi effettuata, del cui esito vanno informati i collaboratori. Una volta entrata in vigore la legge, le imprese avranno un anno di tempo per analizzare la parità salariale al loro interno. La prima analisi andrà pertanto effettuata entro la fine di giugno 2021.

Il Parlamento ha limitato a 12 anni la durata dell’obbligo di analisi (clausola di caducità) nella speranza di realizzare entro tale data la parità salariale. È per questo motivo che la modifica di legge e la relativa ordinanza saranno automaticamente invalidate al 1° luglio 2032. Ma fintanto che la legislazione rimarrà in vigore, la parità salariale andrà analizzata regolarmente ogni quattro anni. Nel caso in cui la prima analisi riveli la mancanza di differenze salariali sistematiche non sarà necessario effettuare ulteriori analisi. Se l’autoanalisi rivela invece che la parità non è rispettata, l’impresa dovrà ripeterla dopo quattro anni.

Nell’ordinanza il Consiglio federale ha anche fissato i criteri per la formazione dei revisori chiamati, su incarico delle imprese, a verificare le analisi sulla parità salariale. L’entrata in vigore è stata stabilita in modo da lasciare tempo a sufficienza per l’apposita formazione. Anche la Confederazione è soggetta all’ordinanza alla stregua del settore privato. La Confederazione incaricherà pertanto un ufficio di revisione abilitato affinché verifichi le sue analisi sulla partità salariale.

Perché si è arrivati a questo punto
La legge federale sulla parità dei sessi (LPar) è entrata in vigore il 1° luglio 1996 e si fonda sull’articolo 8 capoverso 3 della Costituzione federale, che stabilisce il principio secondo cui un lavoro di uguale valore dà diritto a un salario uguale. Tuttavia, a 24 anni dalla sua introduzione, la disparità salariale tra i sessi continua a persistere. In base alla rilevazione dei salari del 2016 da parte dell’Ufficio federale di statistica, le donne guadagnano in media il 18,3% (1455 franchi al mese) in meno rispetto agli uomini. Il 56% di questa differenza può essere attribuita a fattori oggettivi come la posizione professionale, gli anni di servizio o il livello di formazione. Il restante 44% non è riconducibile ai fattori considerati e presenta quindi una “potenziale discriminazione salariale di genere”. Le disparità salariali medie tra donne e uomini tendono a diminuire, mentre la parte non spiegabile di tali differenze “rimane stabile da alcuni anni attorno al 40% dell’intera disparità salariale”.

Per velocizzare l’eliminazione delle disparità, dal 2009 al 2014 i partner sociali svizzeri hanno promosso, insieme alla Confederazione, il progetto “Dialogo sulla parità salariale”. Visto che le misure volontarie non hanno avuto gli effetti sperati, il Consiglio federale ha deciso di realizzare la parità salariale prevista dalla Costituzione con ulteriori provvedimenti statali. Nell’ottobre 2014 ha quindi deciso di imporre per legge ai datori di lavoro di svolgere periodicamente un’analisi dei salari, supervisionata da terzi. La modifica della legge è stata posta in consultazione il 18 novembre 2015, il messaggio adottato dal Governo il 5 luglio 2017 e approvato dal Parlamento il 14 dicembre 2018.

Le critiche dei sindacati
Secondo i sindacati (Travail.Suisse, OCST e gli altri sindacati membri) la nuova normativa è importante, ma non è sufficiente per diminuire le divergenze salariali tra uomo e donna. Prima di tutto perché non prevede sanzioni nel caso in cui la parità non viene rispettata.

In secondo luogo perché poche aziende sono obbligate a svolgere questa analisi: vengono escluse tutte quelle imprese che impiegano fino a 99 dipendenti “allorché, grazie agli strumenti oggi esistenti, come Logib, messo a disposizione gratuitamente dalla Confederazione, possono facilmente compiere questo importante passo dai 50 impiegati” scrivono in un comunicato congiunto Travail Suisse e OCST. Questa scelta è in particolare deleteria in Ticino, dove “le piccole e medie imprese sono la maggioranza”.

In terzo luogo la revisione della legge sancisce l’obbligo di verifica della parità, ma non mette in atto misure di correzione delle anomalie verificate. Infine la durata di questo obbligo è limitata nel tempo.

Il progetto Respect8-3.ch
Per compensare le lacune della legge, la federazione sindacale ha lanciato una piattaforma, denominata RESPECT8-3, in riferimento all’articolo 8 comma 3 della Costituzione federale che vieta la discriminazione uomo-donna. La piattaforma si rivolge in particolare alle imprese, che sono invitate a rendere noto il loro impegno a favore della parità salariale, sia quelle che sono tenute a condurre l’analisi, sia quelle che non hanno un obbligo legale e contano tra i 50 e i 99 dipendenti. Le aziende virtuose che adempiono quindi i dettami di legge appariranno così pubblicamente su una lista bianca.

La piattaforma offre inoltre la possibilità ai dipendenti di segnalare l’inadempienza della propria azienda. Questo consentirà di avviare un processo che prevedrà una serie di contatti con l’azienda per informare e mettere a disposizione le competenze e gli strumenti necessari all’adempimento della legge. Nel caso in cui ciò non fosse possibile, l’azienda verrà inserita in una lista nera, con l’obiettivo di indurre verso l’applicazione della legge. La lista nera, spiegano i sindacati, sarà attiva a partire dal primo luglio 2021 nel rispetto delle prescrizioni legali, ovvero dopo un anno dall’entrata in vigore della riforma legale.

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