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La Germania che “Mutti” lascia
Angela Merkel nel 2017. Immagine Shutterstock.
Angela Merkel nel 2017. Immagine Shutterstock.
Daniele Coroneo
3 anni fa
Domani il Paese va al voto per le elezioni legislative. Per la prima volta dal 2005, Angela Merkel non corre per la cancelleria. Il bilancio dei suoi sedici anni di governo nell’intervista al politologo e professore Gilbert Casasus (Università di Friburgo)

22 novembre 2005. Se questa data non vi dice nulla, sappiate che rappresenta uno dei momenti topici della storia politica tedesca ed europea successivi alla caduta del Muro. Quel giorno, Angela Merkel diventa cancelliera della Repubblica federale tedesca. A 51 anni è la più giovane capa del Governo tedesco e la prima donna a ricoprire tale carica. Merkel è posta al vertice di un governo di coalizione fra i democristiani della Cdu e i socialdemocratici della Spd. Domani, quando noi svizzeri ci esprimeremo sull’iniziativa 99% e sul matrimonio per tutti, i nostri vicini a Nord del Reno saranno chiamati a rinnovare il Bundestag, la camera bassa tedesca. Dai risultati del voto, e di probabili consultazioni fra i partiti, uscirà il nome del nuovo cancelliere che guiderà la Germania. Per la prima volta dal 2005, Angela Merkel non è della partita.

Una lunga stagione politica
La cancelliera nata ad Amburgo e cresciuta nella Ddr ha infatti da tempo annunciato di volere lasciare la carica. La rosa dei “papabili” nuovi cancellieri è composta da Armin Laschet (Cdu), che Merkel ha designato come suo successore ideale, Annalena Baerbock (Verdi) e dall’attuale vicecancelliere Olaf Scholz (Spd), fino a poche settimane fa considerato il più debole dei tre e ora dato quasi per favorito. In ogni caso, la durata della cancelleria targata Merkel sorprende: durante i sedici anni del suo governo, in Francia si sono succeduti quattro presidenti della Repubblica e dodici governi, nel Regno Unito cinque primi ministri, negli Stati Uniti quattro presidenti, in Italia dieci governi affidati a otto diversi presidenti del Consiglio. Quando a Parigi, Londra, Washington e Roma si succedevano a ritmo più o meno sostenuto i capi di Stato e di governo, a Berlino restava, quasi come una garanzia, la stessa cancelliera.

L’allora “malato d’Europa”, impegnato in una complessa – e costosa – riunificazione, è oggi, ancor più di ieri, il motore economico del Vecchio Continente. È solo questa l’eredità che la prima cancelliera donna della Repubblica federale lascia dietro di sé? Ne abbiamo parlato con Gilbert Casasus, politologo e professore di studi europei all’Università di Friburgo.

Professor Casasus, come descrivere la Germania del 2021 rispetto a quella del 2005, anno della salita al potere di Angela Merkel?
“Nel 2005 la Germania, che nei primi anni 2000 era definita “il grande malato d’Europa”, era ancora “sulla via della guarigione”. Oggi è senza alcun dubbio la prima potenza europea. Ciononostante, la Germania rifiuta di riconoscere il suo ruolo di potenza. O meglio: è disposta a farlo solo economicamente, ma non in ambito politico o strategico. Ai suoi alleati europei la Germania dà l’impressione di non essere sempre un partner facile e che gioca a carte scoperte. In particolare, durante questi sedici anni di governo, la diffidenza nei confronti di Berlino è aumentata soprattutto nei paesi del Sud Europa. La Germania di Angela Merkel ha saputo infatti riconciliare l’Est e l’Ovest, sia del Paese sia dell’Europa, ma ha creato nuove fratture fra il Nord e il Sud del continente, cristallizzando un nuovo conflitto. In questo senso, il premier italiano Draghi è considerato a Berlino il prototipo dell’“anti-Merkel”: nei corridoi della Cancelleria non si sono mai viste di buon occhio le sue politiche monetarie, dal piglio offensivo, volte a salvare l’euro”.

Questo per quanto riguarda la politica estera ed europea di Angela Merkel. Sul piano interno, invece?
“Qui occorre mitigare l’analisi positiva dominante. E bisogna ricordare un aspetto: nel 2005, quando Angela Merkel è stata eletta, la Cdu ha totalizzato solo un punto percentuale in più rispetto all’Spd. Da quel momento, i due grandi partiti storici tedeschi (Cdu inclusa!) hanno iniziato a perdere consensi. I tedeschi si credevano un po’ al riparo dal fallimento dei grandi partiti storici, come era stato il caso dell’Italia con la Democrazia cristiana e il Partito comunista. Malgrado gli indubbi successi economici di Merkel, il sistema politico tedesco vive una profonda crisi strutturale. La configurazione politica della Germania post-1949 arriva alla sua fine”.

Angela Merkel nel 2006 al congresso del Partito popolare europeo di Roma. Immagine Wikimedia Commons
Angela Merkel nel 2006 al congresso del Partito popolare europeo di Roma. Immagine Wikimedia Commons

I partiti storici sono in forte crisi, quindi. Tuttavia, nelle ultime settimane è successo qualcosa di assolutamente inaspettato. Per la prima volta dal 2002, la Spd ha superato nei sondaggi la Cdu, proprio alla vigilia del voto. Si può dire che Angela Merkel ne sia responsabile, almeno in parte?
“La cancelliera non è esente da rimproveri in questo ambito. Angela Merkel ha infatti commesso un grave errore quando ha rinunciato alla conduzione del suo partito per lasciarlo nelle mani di Annegret Kramp-Karrenbauer, che non è stata in grado di rimanere alla testa della Cdu. Merkel ha lasciato un partito in preda a forti tensioni interne. Non è certo il modo migliore per prepararsi a un’elezione. L’aumento dei consensi della Spd – e del suo candidato, Olaf Scholz – è dovuto secondo me pure alle manchevolezze del rappresentante della Cdu: Armin Laschet non ha la stoffa del cancelliere. Scholz invece è il candidato più competente. Se i sondaggi sono corretti, l’elettorato tedesco riconosce in Scholz ciò che non trova in Laschet, ovvero la capacità di governare la Germania”.

Armin Laschet non ha la stoffa del cancelliere.

Resta però il fatto che Armin Laschet è il candidato di Angela Merkel... È soltanto una sorta di versione maschile della Cancelliera?
“Merkel e Laschet rappresentano due culture differenti. E non mi riferisco tanto alla questione delle loro origini, rispettivamente nella Germania Est e nella Germania Ovest, quanto più alla differenza fra cultura protestante e cattolica. Laschet rappresenta la democrazia cristiana renana à la Kohl, molto conservatrice sui temi di famiglia e educazione, ma al contempo fortemente legata alla dottrina del cattolicesimo sociale. Quest’ultimo filone non corrisponde per nulla alla scuola di Angela Merkel: quella della Cancelliera è una democrazia cristiana settentrionale, protestante, austera, relativamente aperta sulle questioni di famiglia ma estremamente liberale sul piano economico. In tedesco esiste il termine “Fröhlichkeit”, traducibile in “lietezza” o “allegria”, che di certo non può essere applicato alla Merkel o alla sua politica... La tradizione renana, rappresentata oggi da Laschet e a cui questa parola può invece essere affibbiata, è però in perdita di velocità”.

Sedici anni di governo Merkel sono tanti. Che bilancio ne trarranno i politologi e i cittadini tedeschi del 2041?
“Si ricorderanno principalmente di due aspetti. Anzitutto, Merkel sarà vista come la cancelliera che ha segnato il passaggio dalla Riunificazione all’età della nuova potenza tedesca. La piccola portavoce, apparentemente senza fibra, di Lothar de Maizière, l’ultimo primo ministro della Ddr, ha rapidamente scalato i vertici del potere, incarnando il passaggio dalla Germania divisa alla nuova Germania unificata. In seguito, sarà ricordata anche come la prima donna alla testa del Paese, nonostante non corrisponda all’immagine che il movimento femminista voleva e vuole dare della donna emancipata. Spero però che in futuro si trovi il coraggio di fare delle analisi più approfondite sul passato della famiglia di Angela Merkel nella Ddr, un tema che in Germania resta tabù. Per iniziare a lavorare nell’Accademia delle Scienze di Berlino Est, la Merkel ha infatti probabilmente approfittato delle conoscenze personali del papà, pastore luterano, fra i vertici del Partito comunista. La narrazione ufficiale afferma che Horst Kasner, padre della Merkel, si sia trasferito in Germania Est dall’Ovest per fare da missionario con lo scopo di “aiutare i poveri bambini di un Paese comunista”. La realtà è un’altra: i genitori Kasner erano convinti dell’esistenza di legami forti fra il comunismo e il protestantesimo, cosa che li ha spinti a lasciare la Germania Ovest per raggiungere la Ddr”.

Spero che in futuro si trovi il coraggio di fare luce sul passato della famiglia di Angela Merkel nella Ddr.

Abbiamo capito che, secondo lei, occorre rivedere la narrazione di perfezione relativa ai sedici anni in cui la Germania è stata governata dalla sua prima cancelliera donna. A questo punto, mi permetto di porre un’ultima domanda: parlare di “era Merkel”, come molti giornali fanno in questi giorni, non è forse un po’ esagerato?
“No, non è un’esagerazione. Come c’è stata un’“era Adenauer” o un’“era Kohl”, ci sarà anche un’“era Merkel”. Con una grossa pecca, però: su sedici anni di governo, dodici sono stati di coalizione. Probabilmente, la Germania passerà stabilmente a governi con coalizioni composte da tre partiti. Anche la crisi del bipartitismo tedesco sarà un’eredità dell’era Merkel”.

Le immagini della Cancelliera che rende visita a un parco degli uccelli durante il tour d’addio nel suo collegio elettorale sono uno dei più bei souvenir della fine del suo mandato.
Le immagini della Cancelliera che rende visita a un parco degli uccelli durante il tour d’addio nel suo collegio elettorale sono uno dei più bei souvenir della fine del suo mandato.

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