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111 giorni in stato di necessità
Termina oggi in Ticino lo stato di necessità dichiarato lo scorso 11 marzo dal Governo. Ecco cosa è successo in 15 settimane e 6 giorni nel nostro cantone

Oggi in Ticino è l’ultimo giorno di stato di necessità. Ma, mentre la direzione sembra essere quella di ritorno alla normalità, in Svizzera i casi di Covid-19 hanno ricominciato ad aumentare. Dall’11 marzo sono passati 111 giorni, nonché 15 settimane e 6 giorni, fatti di misure restrittive, confinamento, decreti, responsabilità personale, contagi, vittime, tracciamenti, allentamenti e nuovi focolai.

Prima di arrivare alla dichiarazione dello stato di necessità, però, il Ticino ha vissuto una crescita esponenziale di tensione e di cambiamenti. Sin dal 27 gennaio, giorno in cui arrivò il primo comunicato delle autorità ticinesi in cui si invitava la popolazione a non recarsi nelle strutture ospedaliere se si presentavano sintomi. Nel mondo, nel frattempo, venivano confermati 2’700 casi (oggi 10’302’867). Il 23 febbraio il Cantone si stava preparando a gestire i possibili casi di coronavirus sul territorio rinforzando le modalità di presa a carico sanitaria. In quel momento in Svizzera non si verificavano contagi e in Ticino non risultavano né casi sospetti né persone poste in quarantena.

Il 24 febbraio, un lontano lunedì delle vacanze di Carnevale, sarà ricordato come una cesura tra un prima e un dopo. Arriva, infatti, il 25 febbraio. Il Consiglio di Stato conferma, insieme al medico cantonale Giorgio Merlani, il primo caso di Covid-19 in Ticino. Si tratta di un 70enne che la settimana precedente si trovava a Milano e le persone entrate in contatto con lui sono state messe in quarantena per due settimane. Il 26 febbraio il Consiglio di Stato in conferenza stampa decide di annullare tutti i carnevali e le manifestazioni sportive in programma per il weekend. Due giorni dopo viene istituita un’apposita hotline, all’entrata dei cinque ospedali dell’EOC vengono posizionate le tendine del triage ma non ci sono nuovi casi (15 sospetti e altri 10 risultati negativi). Da questo momento in poi, “responsabilità personale” è la nuova parola chiave.

Il 28 febbraio il primo paziente risultato positivo viene dimesso dalla Clinica Luganese Moncucco. Da quel momento in poi è possibile fare il test direttamente in Ticino. Inoltre, viene definita “particolare” la situazione in Svizzera e vengono vietate tutte le manifestazioni con più di 1’000 persone.

Il 1° marzo non si registrano casi positivi in Ticino e complessivamente sono risultate negative al test oltre cinquanta persone. Ma, all’indomani, viene confermato il prossimo caso. E così via, un aumento continuo. Il 3 marzo in mattinata vengono segnalati altri due casi e in serata il bilancio delle persone positive sale a sei persone. Il 4 marzo viene confermato il primo caso positivo in un istituto scolastico ticinese, il bilancio sale così a 15 e viene attivato lo Stato maggiore cantonale di condotta, presieduto dal comandante Matteo Cocchi.

Il 5 marzo in Svizzera viene registrato il primo decesso legato al coronavirus in Svizzera. Si tratta di una 74enne nel Canton Vaud che soffriva di una malattia cronica e in Ticino vengono confermati i primi tre casi positivi tra il personale sanitario. È il 6 marzo e vengono confermati positivi due ospiti di una casa per anziani nel Mendrisiotto. Lo stesso giorno il Consiglio di Stato decide che non sono più consentite manifestazioni pubbliche e private con più di 150 persone e Giorgio Merlani emana le limitazioni sulle visite ai pazienti e agli ospiti delle strutture sociosanitarie. Da Berna arrivano due ambulanze dell’Esercito. 33 sono i casi in Ticino, 210 in Svizzera.

Domenica 8 marzo viene confermata la seconda vittima in Svizzera. Un uomo di 76 anni è morto all’ospedale di Liestal nel canton Basilea Campagna. In Ticino, invece, si registrano 58 persone positive al test. Nel frattempo, la Lombardia e altre 14 province del Nord vengono dichiarate “zone arancione” ma i frontalieri possono comunque spostarsi per comprovati motivi lavorativi. Il giorno dopo, in Ticino si registrano 68 nuovi casi e vengono vietate le visite nelle strutture sanitarie. A livello federale i casi positive sono 374 e l’Italia viene dichiarata “zona protetta”.

Il 10 marzo, lo ricordiamo, viene accertata la prima vittima di coronavirus (la terza in Svizzera) e da quel giorno nulla è più stato come prima. La situazione, molto diversa rispetto ad oggi, era nel bel mezzo dell’aumento esponenziale dei casi e, di conseguenza, aveva dato il via libera alle chiusure. “Lockdown” è un termine che è entrato a far parte della nostra quotidianità. E proprio in Ticino, in quel momento il cantone più colpito di tutta la Svizzera, veniva decretato lo stato di necessità.

Il 16 marzo, poi, il Governo decide di chiudere le scuole dell’obbligo, la Clinica Luganese Moncucco diventa il secondo ospedale Covid e in Svizzera viene decretata la situazione straordinaria. Il giorno dopo, il 17 marzo, il Consiglio di Stato decreta la chiusura di tutti gli esercizi della ristorazione, mercati, parrucchieri, barbieri, musei, sale per concerti ed estetisti vengono fino al 19 aprile. Il 19 marzo il capo del Dipartimento federale dell’interno Alain Berset arriva a Bellinzona e iniziano i primi appelli a restare a casa. Al mattino del 20 marzo i casi sono più di 800 e i morti 22.

Il 21 marzo il Governo emana misure ancora più restrittive: proibiti gli assembramenti con più di 5 persone e gli over 65 non possono recarsi a fare gli acquisti. A causa delle ultime decisioni, lunedì 23 marzo, i rapporti fra la Confederazione e il Ticino si fanno ostici. Berna infatti, bacchetta il Governo per aver imposto misure restrittive più severe rispetto a quelle emanate dal Consiglio federale. Ma, vista la situazione epidemiologica nel cantone viene aperta una finestra di crisi per il Ticino che sarà prolungata fino al 4 maggio.

Mentre la quarantena procede dal mondo sanitario arrivano le prime notizie positive. La politica scalpita e invita a pensare al post coronavirus. Il 6 aprile il picco viene raggiunto e il 9 aprile il medico cantonale Giorgio Merlani risulta positivo al virus.

Da quel momento in poi, lo sguardo è nella direzione degli allentamenti. Il 27 aprile il Governo si allinea alla Confederazione con la riapertura di servizi fra i quali saloni da parrucchieri, fisioterapisti, negozi di giardinaggio e asili nido. Le fasi 2 e 3 hanno preso il via rispettivamente l’11 maggio (riaprendo ristoranti, bar e scuole) e il 6 giugno (campeggi, manifestazioni, gruppi numerosi nei ristoranti). Il 15 giugno, dopo tre mesi, vengono riaperte completamente le frontiere ripristinando completamente la libera circolazione (anche per il turismo degli acquisti). Il 19 giugno, il Consiglio federale decreta la fine della “situazione straordinaria” passando alla “situazione particolare”. Inoltre, vengono annunciati ulteriori allentamenti per le manifestazioni, le distanze e i bar.

Sono passati 111 giorni, nonché 15 settimane e 6 giorni, dall’11 marzo. Il Consiglio di Stato aveva confermato nelle settimane precedenti che il 30 giugno sarebbe caduto lo stato di necessità. E così è stato. Ad oggi i nuovi contagi in Ticino sono sempre vicino allo zero, ma non è la stessa cosa per il resto della Svizzera. Nulla è certo e i cambiamenti repentini sono dietro l’angolo. Ma, comunque vadano le cose, la normalità non sarà più quella di prima.

Che cosa vuol dire “Stato di necessità”?
“Si ha stato di necessità quando, a seguito di catastrofi, conflitti armati o altre situazioni d’emergenza che comportano un pericolo imminente per lo Stato, le persone o le cose, non sia più possibile garantire con i mezzi ordinari l’attività amministrativa o i servizi d’interesse pubblico e la protezione e l’assistenza delle persone e delle cose a livello cantonale, regionale o locale”. È questa la definizione contenuta all’articolo 20 della Legge cantonale sulla protezione della popolazione. A dichiarare e poi revocare uno stato di necessità sul territorio è il Consiglio di Stato.

Oggi conclude anche il lavoro della protezione e dei militi
Dopo 107 giorni di servizio termina oggi l’impiego dell’esercito e della protezione civile per far fronte alla pandemia di coronavirus. In totale, sono state chiamate circa 30’000 persone, che hanno totalizzato oltre 600’000 giorni di servizio. Gli ultimi cinquanta militari ancora in impiego, agenti della polizia militare a sostegno dell’Amministrazione federale delle dogane (AFD), vengono svincolati oggi dai loro compiti e licenziati, indica in una nota odierna il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS). Dallo scorso 16 marzo sono stati circa 6’000 i militari - su un massimo di 8’000 stabilito dal Consiglio federale - che hanno partecipato alla missione “Corona 20”, fornendo un aiuto alla sanità pubblica civile, all’AFD e ai corpi di polizia cantonali. In totale, su richiesta dei Cantoni, sono stati effettuati oltre 300 incarichi. Già dallo scorso 29 maggio l’impiego dell’Esercito si è ridotto con il licenziamento dei militari del settore sanitario. In seguito sono rimasti in servizio un migliaio di militari lungo i confini nazionali, poi quasi tutti svincolati attorno a metà giugno.

Per quanto riguarda la protezione civile, sono stati circa 24’000 i militi che da metà febbraio sono stati impiegati in tutti i 26 Cantoni per l’emergenza coronavirus, in particolare nel settore della sanità, precisa dal canto suo l’Ufficio federale della protezione della popolazione (UFPP). In Ticino sono stati effettuati circa 12’000 giorni di impiego in totale. In questa speciale classifica emergono i Cantoni densamente popolati e duramente colpiti dal Covid-19, tra cui Vaud (circa 70’000 giorni di servizio), Ginevra (circa 40’000) e Zurigo (circa 32’000). La durata dei dispiegamenti variava da pochi giorni a diverse settimane, precisa l’UFPP, aggiungendo che l’ancoraggio regionale della protezione civile ha consentito un intervento flessibile e operazioni su misura, a seconda dell’evoluzione della situazione. La protezione civile è stata dispiegata in vari Cantoni sin dall’inizio dell’emergenza coronavirus in febbraio e in seguito - dallo scorso 20 marzo - il Consiglio federale ha decretato un impiego su scala nazionale per un totale di 850’000 giorni di servizio al massimo.

Il bilancio dell’Amministrazione federale delle dogane
Nell’ambito delle misure di controllo e di sorveglianza del confine, effettuata dall’Amministrazione delle dogane durante la situazione straordinaria proclamata il 16 marzo dal Consiglio federale, sono stati accertati oltre 15mila reati, oltre 100mila respingimenti e una diminuzione del traffico nella misura dell’80%. È quanto rileva l’Amministrazione federale delle dogane nel suo bilancio di questi tre mesi di lockdown (16 marzo-15 giugno), ossia quando sono stati reintrodotti i controlli sistematici alle frontiere interne ed emanate restrizioni d’entrata.

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