Marco Altomare
Cure a domicilio e vita indipendente
Redazione
un anno fa
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Le cure a domicilio hanno, nel contesto dell’attuale sforzo di promozione di un sistema integrato di cure medico-sanitarie, chiamato anche a calmierare il costante aumento dei costi della salute, un ruolo importante. Si pongono come condizione imprescindibile per la vita indipendente di anziani e persone con disabilità, e costituiscono, nel pieno rispetto del diritto di autodeterminazione, una reale opportunità per non dover accettare istituzionalizzazioni forzate.

Oggi si assiste a un aumento crescente della richiesta di assistenza domiciliare dovuto sia ai processi di veloce deospedalizzazione, sia al generale miglioramento delle cure mediche che permette, molto più che in passato, di sopravvivere a malattie e infortuni e di convivere, a lungo, con disabilità e età avanzata. A questo aumento non corrisponde, però, un analogo adeguamento dell’offerta sanitaria. Gli Spitex accusano una significativa insufficienza, anche se non in numeri assoluti, delle risorse umane. E non è sempre e solo una questione di stipendi, anzi, il loro aumento a volte porta, in nome della qualità della vita dell’operatore, a una diminuzione della quantità di lavoro erogato, generando una sorta di tensione fra le esigenze degli assistiti e le disponibilità degli assistenti.

Le professioni di cura mettono a contatto, per loro natura, con l’umana sofferenza. La gestione delle situazioni che ne derivano può essere complessa e contribuire al logoramento del personale. Appare quindi necessario provvedere alla messa in atto di un articolato sostegno psicologico ed istituzionale, che consideri anche la possibilità di attivare reti di cure integrate in cui gli Spitex collaborano con gli istituti. Ciò consentirebbe la salutare variazione dei luoghi e dei modi di erogazione delle prestazioni. Aspetto questo che richiede la non secondaria armonizzazione dei riferimenti giuridici, oggi ancora troppo dissimili, nonché la messa in atto di un controllo centrale sull’adeguatezza delle cure, che uniformi le prestazioni del pubblico e del privato, degli istituti e dell’assistenza a domicilio. È un terreno su cui la politica è prepotentemente chiamata a fare la sua parte.

Il reperimento e il mantenimento di personale adeguato non è però l’unica sfida da affrontare. Nel nostro Paese il finanziamento della permanenza a domicilio si basa sui contributi delle casse malati e, sussidiariamente, dello Stato. Questi aiuti non coprono però la totalità delle spese. Troppe persone sono quindi obbligate a ricorrere al, socialmente più costoso, ricovero in istituto. L’istituzionalizzazione non voluta e non necessaria induce infatti, a causa del minor stimolo ambientale e del distacco affettivo dal proprio ambiente e dai propri affetti, un accumulo di disabilità con tutte le conseguenze umane e finanziare del caso.

Di fronte all’insufficienza del sostegno economico, i famigliari, in particolare le donne, assumono di necessità il ruolo di assistenti e curanti. Si tratta di un lavoro non retribuito, che non tutela adeguatamente chi lavora. Viene infatti a mancare ogni forma di indennità (disoccupazione, malattia, infortunio) e non è possibile cumulare un adeguato avere AVS. Il risparmio presente arrischia quindi di trasformarsi in una spesa futura.

Eppure, il lavoro svolto dai famigliari è enorme: l’impegno volontario delle 600’000 persone che si stima prestino assistenza ai propri familiari ha un valore pari a circa 3,7 miliardi di franchi all’anno e alleggerisce enormemente la spesa pubblica. Vi sono, in questo settore, chiare necessità di intervento della politica. Bisogna bilanciare gli obblighi delle casse malati e dello Stato, per l’assunzione delle spese necessarie al mantenimento a domicilio delle persone anziane e con disabilità, con il riconoscimento finanziario e assicurativo del lavoro dei famigliari assistenti e curanti, pena il degrado progressivo di una situazione che, nel tempo, potrebbe, a fronte del generale invecchiamento della nostra società, farsi insostenibile.

Marco Altomare, candidato GISO al Gran Consiglio

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