Svizzera
“Da noi il 40% dei contagi avviene in discoteca”
Marco Jäggli
4 anni fa
Il consigliere di stato ginevrino Mauro Poggia spiega la situazione nel suo Cantone e perché si sono rese necessarie misure come la chiusura dei club

Una settimana fa Ginevra ha preso la decisione di imporre la mascherina al chiuso, per poi scegliere di chiudere anche locali notturni e club. All’origine della decisione il drastico aumento dei contagi, che come rilevato ieri metterebbe il cantone tra i “paesi” a rischio, se si trattasse di uno stato estero. Teleticino al TG Estate ha contattato Mauro Poggia, Consigliere di Stato ginevrino, per sapere com’è la questione nella città di Calvino, in particolare dopo l’inserimento delle misure: “È difficile avere informazioni chiare appena dopo il weekend, visto il numero minore di test. Però sembra che le cifre lunedì e martedì siano state un po’ più basse rispetto a venerdì. Le misure prese sono però troppo recenti per poterne trarre conseguenze certe”.

L’ufficio federale della sanità ha rivisto al ribasso le stime sul numero di contagi avvenuti in discoteca, inizialmente deputato come la causa principale. È quindi possibile un ripensamento da parte vostra sulla decisione di chiudere i locali notturni?
“Assolutamente no, in quanto le nostre cifre non sono basate su quelle dell’Ufficio della salute pubblica. Quando una persona è positiva deve riempire un formulario e su questo una delle prime domande riguarda dove lui pensi di essere stato contaminato. Questo formulario viene poi inviato all’UFSP che e nel 53% dei casi non spiega l’origine della contaminazione. Da noi a Ginevra invece, quando un caso ci è segnalato, e penso sia lo stesso in Ticino, si attivano delle indagini approfondite per capire veramente dove si sia contagiata la persona. È così che abbiamo visto che più del 40% delle contaminazioni era avvenuto nei club, con quasi una 20ina di focolai apparsi appunto nei locali notturni. Dunque, le nostre decisioni non sono state prese sulle cifre federali”.

Qualcuno dice “si sta esagerando perché la moralità è molto bassa”, si giustificano davvero queste misure così restrittive?
“Queste critiche le sentiamo tutti. Quando si arriva a 50 o 60 persone positive al giorno vuol dire mettere 500 o 600 persone in quarantena. Se queste cifre perdurano per diversi giorni non è più possibile seguire efficacemente le quarantene, che vengono di fatte in parte abbandonate, rendendo meno efficace il controllo dell’epidemia e il contact tracing. Il ché potrebbe voler dire reinserire una serie di misure ancora più drastiche per tornare a proteggere le persone vulnerabili, non sono gli anziani ma anche chi lavora e ha magari delle comorbidità. Misure che avrebbero un forte impatto sulla nostra economia. Non penso dunque che dobbiamo aspettare che i nostri ospedali non siano più in grado di prendersi a carico i pazienti ma dobbiamo cercare di rompere queste catene dei contagi e questo non si può fare con più di una 50ina di casi al giorno”.

In che modo vi spiegate questa recrudescenza del numero dei contagi?
Non è solo la crescita dei numeri che preoccupa, in quanto più si fanno test più si segnalano casi, è la percentuale di casi positivi che deve far riflettere: in precedenza avevamo circa il 2% di positivi sui test complessivi, oggi siamo al 7%. Ci aspettavamo un aumento dei positivi con la riapertura delle attività, ed anche comprensibile che i giovani, dopo il lockdown e vista l’estate, vogliano tornare a divertirsi, però bisogna cercare sempre di limitare i casi, senza arrivare agli estremi: ho sentito che c’è chi propone di imporre le mascherine all’aria aperta. Penso che bisognerà riflettere prima di arrivare a una simile decisione, che potrebbe impattare sulla salute psicologica della popolazione. Bisogna andare piano e io penso che le decisioni che abbiamo preso settimana scorsa sono certamente dure per chi deve sospendere la propria attività ma sono meno gravi rispetto a quelle che dovremmo implementare se la situazione peggiorasse ulteriormente”.

La percentuale di contagi rispetto alla popolazione ha spinto le autorità del Belgio a inserire il suo cantone nella lista rossa. Avete avuto novità in questo senso?
“Non c’è un motivo per mettere Ginevra, Vaud e il Vallese nella lista rossa. Ricordo che in Belgio bisogna mettere la mascherina anche all’aria aperta nei posti molto frequentati. Non so quali sono i loro criteri i paesi a rischio, la Svizzera ha criteri chiari e trasparenti mentre noi ad oggi non abbiamo avuto risposta sul perché siamo stati inseriti in questa lista (ricordiamo che ieri il Belgio ha deciso di stralciare Vaud e il Vallese dalla lista, mantenendo però Ginevra, ndr)”.

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