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Dare una mano (letteralmente) al mondo
Redazione
4 anni fa
Thomas Giesen, chirurgo della mano ed esperto in chirurgia del plesso brachiale: “Necessaria collaborazione tra le figure sanitarie”

È una carriera sfolgorante, quella di Thomas Giesen, specialista in chirurgia ortopedica e traumatologia dell’apparato locomotore e chirurgia della mano, membro FMH, attivo presso il Centro mano e gomito della Clinica Ars Medica di Gravesano e consulente all’Ospedale Cantonale di Lucerna per le patologie del plesso brachiale e per i disturbi spastici delle paralisi.

Un grande talento, il suo, che nasce dall’università italiana, con laurea all’Università degli Studi di Milano, ma che inizia a svilupparsi molto presto oltre i confini della vicina penisola, inanellando, uno dopo l’altro, periodi di formazione nei centri più prestigiosi del mondo, luoghi di acquisizione di competenze sempre più approfondite. Germania, Inghilterra, India, Stati Uniti, Francia, sono state e sono tuttora tappe di un’evoluzione professionale che nel 2017 è culminata nella libera docenza all’Università di Zurigo ma chissà ancora quante soddisfazioni porterà a questo specialista tanto entusiasta e appassionato del proprio lavoro.Il chirurgo quarantaquattrenne parla in termini entusiastici della sua esperienza pregressa a Zurigo: ‹‹Ho passato quasi otto anni all’ospedale universitario di Zurigo. Essendo la casistica molto interessante, ho prodotto una serie di pubblicazioni di cui vado fiero. La mia tesi di dissertazione per la libera docenza portava il titolo “Il trattamento dei traumi della mano. L’evoluzione attraverso piccole rivoluzioni”. Infatti, con i colleghi di Zurigo abbiamo introdotto piccole novità che rappresentavano comunque delle rivoluzioni nel trattamento delle ossa, dei tessuti molli e anche dei nervi. Oltre 30 articoli mi hanno portato ad acquisire il titolo di libero docente››.

Una specialità del dottor Giesen è la chirurgia del plesso, estremamente complessa, che rientra un più generale capitolo della Chirurgia dei nervi, comprende in sé una parte di microchirurgia e viaggia su un binario parallelo, anche se è un grosso capitolo a sé stante, alla chirurgia dei pazienti con spasticità degli arti superiori e inferiori e pazienti emiplegici e tetraplegici.

Ma cos’è, esattamente, il plesso brachiale? ‹‹Consiste in un gruppo di nervi che esce dalla spina dorsale, nella parte più bassa delle vertebre cervicali. Si tratta di radici nervose che si combinano e ricombinano più volte fino a formare tra il collo e sotto la clavicola i nervi dell’arto superiore e della spalla. Le lesioni possono essere più o meno gravi, a seconda dell’altezza, di quante radici, tronchi, fascicoli o nervi siano lesionati e se questi nervi siano danneggiati fuori dal canale midollare o se siano strappati dal canale midollare››.‹‹I nervi si rigenerano di circa un millimetro al giorno. Purtroppo, quando la lesione interessa il plesso brachiale, così lontano dall’obiettivo della chirurgia (che può essere un muscolo del braccio o la sensibilità del pollice) il tempo di rigenerazione è estremamente lungo. Dal collo alla mano ci sono 60/70 centimetri, il che, tradotto in termini di tempo, significa 600/700 giorni, lasso di tempo in cui i muscoli, non innervati, quindi non raggiunti da impulsi elettrici, degenerano e muoiono. L’arto non muove, non sente, l’unica cosa che si può dare al paziente è qualche movimento della spalla per l’igiene personale e la flessione del gomito. Sembra pochissimo, ma contribuisce a migliorare la sua qualità di vita, facilitando la gestione dell’igiene da parte del paziente stesso, dei famigliari e del personale di cura›› spiega il chirurgo.Le grosse categorie di soggetti che necessitano della chirurgia del plesso sono i bambini con paralisi del plesso post partum e i motociclisti, che a seguito di incidenti hanno subito lesioni al plesso brachiale.

Il dottor Giesen è reduce da un ennesimo viaggio in India, Paese con cui ha contatti fin dall’inizio della sua formazione. ‹‹Mi chiedono se vado in India in missione umanitaria››, racconta. ‹‹In realtà il mio fine non è così caritatevole. Ci vado per imparare, poiché l’India e la Cina per la microchirurgia sono i paesi più avanzati. Avendo moltissimi casi, sono un punto di riferimento a livello mondiale per i traumi dell’arto superiore. A titolo di esempio, in una settimana al Ganga Hospital ho operato sei plessi brachiali. A Lucerna, dove sono consulente al Kantonspital per i plessi brachiali, ne ho operati quattro in un anno››.

Nel corso dell’intervista riecheggia più volte la parola “gratitudine”, rivolta a luoghi e persone che hanno contato nella carriera di Thomas Giesen. Alla Svizzera, che gli ha dato la possibilità di esprimersi al meglio e di mettere in pratica l’esperienza raccolta nel corso degli anni, e a tutte le figure determinanti nella sua formazione. Fra gli altri, il primario dell’ospedale Ganga, S Raja Sabapathy, e il professor Yves Allieu, consulente chirurgico e Direttore Scientifico dell’Istituto di Montpellier della Mano e dell’arto superiore. “Sono molto orgoglioso del rapporto che ho con questi miei mentori, poiché una cosa, per quanto indispensabile, è studiare sui libri ma un’altra è imparare cosa funziona veramente da qualcuno che ha fatto questo lavoro per cinquant’anni e raccogliere la sua eredità››

Eredità di cui gode ora anche la Clinica Ars Medica di Gravesano... ‹‹Do volentieri il mio contributo in Ticino›› commenta lo specialista, ‹‹anche se questo tipo di chirurgia non è molto popolare tra i chirurghi della mano, forse perché dà meno soddisfazioni di altri interventi. Il paziente spastico, tetraplegico o del plesso non è mai contento, perché la normalità, cioè un arto funzionale, non è mai raggiungibile››.

Il dottor Giesen tocca altre questioni strettamente legate al ruolo del chirurgo e in generale alla presa a carico del paziente da parte di tutta la società. ‹‹La chirurgia del plesso e del paziente spastico e tetraplegico non si può fare da soli. Serve una collaborazione strettissima del chirurgo con altre figure sanitarie, come neurologi, fisiatri e riabilitatori. Inoltre, per la riabilitazione di questi pazienti sono necessarie strutture specializzate. Quello del chirurgo è un input tecnico, limitato nel tempo, a cui deve far seguito tutta una serie di interventi sociali. Alzandosi l’età media della popolazione, il paziente emiplegico diventerà sempre più comune in futuro››.Una sfida di fronte alla quale la società non deve farsi trovare impreparata.

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