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“Biden e Harris? Già in difficoltà”
Gregorio Schira
2 anni fa
Nello speciale dedicato agli USA, intervista a 360° a Francesco Semprini, reporter di guerra e corrispondenete da New York per “La Stampa”, che rievoca 20 anni di storia americana, tema del suo ultimo libro

“Mancano ancora tre anni alle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ma se Joe Biden e Kamala Harris vorranno essere rieletti devono assolutamente cominciare a fare qualcosa”. Ne è convinto Francesco Semprini, corrispondente da New York e reporter di guerra per “La Stampa”.

Autore del recente volume “Twenty - Il nuovo secolo americano: venti anni di guerra e pace nelle cronache di un giornalista italiano”, l’11 settembre del 2001 Semprini era da poco negli USA (e ancora non era giornalista). “Fu una delle giornate più buie per l’umanità - ha raccontato nello speciale dedicato all’America andato in onda su Teleticino - , l’inizio di una nuova epoca per gli Stati Uniti ma anche per il mondo occidentale. Un’epoca che si è chiusa, in certo senso, nelle scorse settimane con la fine della missione americana in Afghanistan”.

E proprio l’Afghanistan, Francesco Semprini lo conosce bene. Più volte, in questi 20 anni, vi si è infatti recato. Affascinato dal lavoro del reporter di guerra. “Nel giornalismo, a dire il vero, ci sono inciampato. E me ne sono innamorato. L’incontro fatale che mi ha portato sulla strada dell’Afghanistan è stata una visita a Guantamano. Perché mi sono chiesto: ma cosa è successo a queste persone che sono rinchiuse qui. Nel giro di un anno ero a Kabul”.

Proprio come il mese scorso. “Ho visto un Paese tornato indietro di 20 anni. Sembra che tutte quelle battaglie vinte pian piano (penso a quella per i diritti umani, o per i diritti civili) siano state polverizzate in un attimo. Questo impone degli interrogativi: cosa non ha funzionato? E soprattutto, a cosa è servito andare in Afghanistan?”.

Ora al potere ci sono i talebani. “E fanno davvero paura, anche dal vivo. Non sono affatto - come qualcuno li chiama - i “tale-buoni”. Però, rispetto a due decenni fa, si sono evoluti, hanno maturato una certa coscienza in linea con la modernità del mondo attuale. Sanno usare i mezzi di comunicazione, sanno approcciarsi alla stampa, sanno fare propaganda... E sanno benissimo che per il momento non possono mostrare il volto duro del fondamentalismo islamico. Anzi, cercano di mostrarsi come garanti di una stabilità che l’Afghanistan di prima non aveva”.

Ma in vent’anni di storia americana, che poi è anche la nostra storia, visto che gli Stati Uniti (volenti o nolenti) sono sempre stati presenti negli accadimenti di questi due ultimi decenni, non vi è stato solo l’Afghanistan. L’Iraq (dove Semprini è stato), la Siria, lo Yemen. E poi la crisi finanziaria del 2007/2008. “Quello fu il secondo terremoto di quello che in molti chiamano “the lost decade”, il decennio perso. L’America, già colpita in uno dei suoi due pilastri (la politica) veniva colpita anche nel secondo: la finanza. E anche in questo caso, una domanda sorge spontanea: Wall Street ha imparato la lezione? A guardarla adesso, sembrerebbe di no...”

Poi è arrivato Barak Obama, e con lui la voglia di cambiamento. “Hope e change erano le sue parole d’ordine. Fu uno dei presidenti più voluti, perché l’America - dopo due mandati di Clinton e due di Bush - sentiva il bisogno di rompere con il passato, aveva bisogno di un candidato che scardinasse il modo di fare politica a cui si era abituati. E Obama era proprio questo. Faceva politica partendo dal basso, non dai palazzi del potere. Peccato che nel suo secondo mandato si sia ridotto a fare il soldato del partito, e non sia riuscito a portare a termine quella rivoluzione che aveva progettato, proposto e anche iniziato. Il suo errore è stato quello di aver avviato una ripresa economica che ha dimenticato la classe media. E questo è stato un primo germe di quel risentimento che sarà intuito e poi cavalcato da Donald Trump”.

Il populismo del Tycoon, l’avvento della pandemia, le rivolte contro l’uccisione di George Floyd. Tutto questo è storia praticamente recente. E anche di questo parla Semprini nello speciale di Teleticino. Come anche dell’essere giornalista là dove la storia accade. E dell’obiettività che chi fa il suo mestiere dovrebbe avere. “Il giornalista deve fare news e non views. Non deve giudicare, ma fornire al pubblico gli strumenti per farlo. E questo è ancora più vero nelle zone di guerra”.

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