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Omicidio Khashoggi: “Bin Salman autorizzò il blitz”
Foto Shutterstock
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Keystone-ats
3 anni fa
Il rapporto dei servizi di intelligence americani, declassificato oggi, afferma che il principe ereditario saudita avrebbe autorizzato il blitz contro il giornalista dissidente

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman “approvò un’operazione a Istanbul per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi”: è la conclusione dell’esplosivo rapporto dell’intelligence Usa sulla morte del giornalista dissidente del Washington Post, ammazzato e smembrato nel 2018 da una squadra di agenti sauditi nel consolato saudita, dove era andato a ritirare un documento per il suo imminente matrimonio con la fidanzata che lo attendeva all’esterno.

Il documento è stato declassificato e diffuso dall’amministrazione Biden, dopo che Donald Trump l’aveva mantenuto segreto per conservare la cooperazione con Riad nella partita contro l’Iran e promuovere la vendita di armi americane ai sauditi. “Gli ho salvato la pelle”, ha confessato poi l’ex presidente a Bob Woodward, il leggendario reporter del Watergate. Ma ora le cose sono cambiate: “Abbiamo detto chiaramente che questa amministrazione non metterà nulla sotto il tappeto e che il presidente Biden seguirà la legge”, ha sottolineato un dirigente della Casa Bianca, spiegando che la diffusione del rapporto è “in onore di Jamal e contro questo orribile crimine, affinché cose del genere non si ripetano”.

Adesso si attendono sanzioni di vario genere, dopo che il dipartimento di Stato ha varato la cosiddetta ‘Khashoggi policy’ o ‘Khashoggi ban’ per punire tutte le persone che, agendo in nome di un governo, si pensa abbiano direttamente partecipato o partecipino in attività contro i dissidenti “gravi e di natura extraterritoriale”. Nel mirino del Tesoro americano ci sono già 76 sauditi, tra cui il generale Ahmed al-Asiri, ex vice responsabile dei servizi di intelligence di Riad, e la Saudi Rapid Intervention Force. Ma non il principe ereditario, per non mettere “a rischio estremo” le relazioni con un alleato cruciale come l’Arabia Saudita, fanno sapere fonti dell’amministrazione.

“Basiamo questa valutazione sul controllo da parte del principe dei processi decisionali nel regno, sul diretto coinvolgimento di un consigliere chiave e di membri della sua scorta nell’operazione, e sul suo sostegno all’uso di misure violente per mettere a tacere i dissidenti all’estero, compreso Khashoggi”, si legge nel report in merito alle responsabilità di Mbs. Il principe lo considerava “come una minaccia al regno” e “sostenne ampiamente l’uso della violenza, se necessario, per silenziarlo”. Gli 007 elencano 21 persone che ritengono con “alta fiducia” complici o responsabili per la morte del giornalista, ma non sono in grado di dire se conoscessero in anticipo che l’operazione si sarebbe conclusa con la sua uccisione, cioè se si sia trattato di un omicidio premeditato o di un’operazione sfuggita di mano e finita male. Resta il fatto che tra di loro c’era un medico legale con una sega da ossi in valigia e che comunque Mbs aveva messo in conto anche l’uccisione.

Dopo l’omicidio, Riad cercò di placare l’ondata di condanna mondiale arrestando 21 persone e licenziando cinque alti dirigenti, tra cui Ahmad Asiri e Saud al-Qahtani, un vecchio collaboratore di Mbs. Delle 11 processate a porte chiuse, cinque furono condannate a morte ma la loro pena fu commutata a 20 anni di carcere dopo il perdono della famiglia Khashoggi, mentre altre tre ricevettero pene di diverse entità. Asiri fu assolto per “insufficienza di prove”, Qahtani fu indagato ma non processato. Il principe bin Salman ha sempre negato ogni coinvolgimento ma ha accettato la responsabilità come leader de facto del Paese, pur sempre senza alcuna grave conseguenza. Ora però rischia un ulteriore danno d’immagine e di non essere più un interlocutore della Casa Bianca. Joe Biden infatti ha deciso di “ricalibrare” i rapporti con Riad tenendo relazioni non più con lui ma con il padre, l’85enne re Salman, che ha chiamato per la prima volta giovedì per addolcire la pillola del rapporto. Una telefonata in cui ha enfatizzato “l’importanza dei diritti umani e dello stato di diritto”, e apprezzato il recente rilascio di diversi attivisti sauditi-americani e della militante per i diritti umani Loujain al-Hathloul. Ma il cambio di rotta è già segnato: stop alla vendita di armi, fine del sostegno Usa alla guerra in Yemen e apertura all’Iran per un nuovo accordo sul nucleare.

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