Estero
Myanmar, almeno 18 morti nelle proteste
Foto Shutterstock
Foto Shutterstock
Keystone-ats
3 anni fa
I manifestanti domostravano contro il colpo di Stato militare di un mese fa

Almeno 18 persone sono rimaste uccise nella repressione delle manifestazioni in Myanmar, nella giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste contro il golpe del primo febbraio. Lo riferisce l’Ufficio Onu per i diritti umani citato dalla Bbc. L’emittente riporta pure fonti mediche a Yangon, Dawei e Mandalay, dove la polizia ha usato proiettili veri e di gomma e gas lacrimogeni.

Le Nazioni Unite hanno condannato la violenta repressione nel paese e hanno esortato la giunta militare a smettere di usare la forza sui manifestanti pacifici.
“Condanniamo fermamente l’escalation di violenza contro le proteste in Myanmar e chiediamo ai militari di interrompere immediatamente l’uso della forza contro manifestanti pacifici”, ha detto in una nota Ravina Shamdasani, portavoce del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Proteste in numerose città
Le forze di sicurezza sono intervenute con la forza - sparando anche proiettili veri - contro folle pacifiche a Rangoon, Dawei, Mandalay, Myeik, Bago e Pokokku. Sui social media girano video di poliziotti anti-sommossa che sparano verso gruppi di manifestanti disarmati, nonché scene di guerriglia urbana con esplosioni e gas lacrimogeni. Con la repressione odierna, sono salite ad almeno 22 le persone uccise dal primo febbraio, quando le forze armate del generale Min Aung Hlaing hanno preso il potere spodestando il governo sotto la guida di Aung San Suu Kyi.

Morti e feriti in varie città, in manifestazioni che durano ormai da oltre tre settimane, confermano che la protesta del ‘Movimento di disobbedienza civile’ ormai unisce il Paese, continuando imperterrita nonostante almeno 1200 arresti prima di politici, poi di manifestanti e anche di giornalisti. È una protesta fatta innanzitutto di giovani, che si sentono depredati di un futuro dopo un decennio di nascente, seppur imperfetta, democrazia.

Il processo ad Aung San Suu Kyi
Domani, intanto, è prevista la seconda udienza del processo contro Suu Kyi, accusata di importazione illegale di sei walkie-talkie e di aver violato le disposizioni di sicurezza relative al coronavirus. Accuse farsesche, che potrebbero costarle però fino a tre anni di reclusione, con conseguente esclusione dalle prossime elezioni - sempre che i militari non si rimangino l’impegno a tenerle tra un anno - e possibile scioglimento della sua Lega nazionale per la democrazia. Suu Kyi è detenuta nella sua residenza nella capitale Naypyidaw, e dal giorno del golpe non è mai apparsa in pubblico.

© Ticinonews.ch - Riproduzione riservata