Occupazioni
Boas Erez: "È bello che i giovani dicano stop al massacro"
Redazione
12 giorni fa
L'ex rettore dell'USI supporta le proteste studentesche pro-Palestina, ritenendo che debbano essere viste in una prospettiva di mobilitazione e sensibilità.

Manifestazioni, proteste, sit-in e occupazioni. Dagli Stati Uniti all’Europa moltissimi studenti universitari pro-Palestina hanno deciso di mobilitarsi chiedendo un cessate il fuoco a Gaza, così come l’interruzione dei rapporto con istituzioni e università israeliane. Da New York fino a Losanna, le occupazioni non hanno sempre avuto luogo in maniera pacifica, con svariati arresti e denunce negli Stati Uniti. A livello svizzero la situazione appare decisamente meno violenta, al punto che solo all’ETH di Zurigo è intervenuta la polizia per sgomberare l’edificio. Per capire meglio le motivazioni e i retroscena di queste proteste a Ticinonews abbiamo intervistato l’ex rettore dell’Università della Svizzera italiana Boas Erez.

Come ormai noto, da qualche giorno alcuni spazi dell’Università di Losanna sono stati occupati da centinaia di studenti pro-palestinesi. In questo senso, politica e rettorato sono preoccupati?

“Io credo che il rettore dell’UNIL si stia comportando in maniera esemplare e gli studenti stessi sono pacifici. Per quanto riguarda invece il fondo della questione, a me sembra bello che dei giovani dicano al mondo che questo massacro deve finire”.

Le rivendicazioni studentesche ci sono sempre state. Ma in questo particolare periodo storico hanno lo stesso valore di un tempo?

“Il movimento di Losanna dice di iscriversi in una storia che ha origini nel 1968, quando si protestava contro la guerra in Vietnam e contro l’Apartheid. Non so se ci sia o meno un filo conduttore, anche perché nel ’68 le rivendicazioni riguardavano anche la vita degli studenti stessi. In Francia c’è una tradizione che è ancora viva per quanto riguarda i movimenti di quel tipo. Facendo invece riferimento alle proteste in corso a Losanna, quello che sta succedendo ha un senso, anche se si tratta di una prima volta”.  

Oggi si è parlato anche di altre città svizzere come Ginevra e Zurigo. Losanna però è stata la prima: come mai?

“È bene ricordare che in molti Cantoni questo tipo di manifestazioni pubbliche sono state vietate, sia con interventi di polizia sia con divieti cantonali. Cosa che in Svizzera romanda non è successa, quindi la parola è conseguentemente più libera e a Losanna – dove si studiano prevalentemente discipline umanistiche, sociali e politiche – penso che c’è una particolare sensibilità, così come una capacità, a mobilitarsi e ad articolare un discorso che in fondo è mosso da empatia e sentimenti. Anche perché non è facile parlare in pubblico di tematiche come queste”.

Secondo lei è possibile che una situazione simile si verifichi anche a Lugano?

“Non saprei. Ma conoscendo abbastanza i nostri studenti USI so che sono capaci di empatia, come dimostrato durante la pandemia. Sono persone sensibili e non pensano solo a trovare un mestiere ben pagato una volta terminati gli studi. Non c’è tuttavia questa tradizione: ci vuole una leadership, così come delle abitudini a parlare in pubblico di situazioni delicate come quelle che stiamo vivendo. Ma qui a Lugano non abbiamo queste tradizioni, il che non vuol però dire che si è insensibili nei confronti di quanto sta accadendo a Gaza”.